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Stalin. Ha perso, anche se ha vinto
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Meretricio commerciale dei rapporti umani e nuovi stigmi sociali

Acquerello ritraente Narciso, intento a specchiarsi nel fiume

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Il mercato, questa figura sempre più presente ed ingombrante nella vita di ogni individuo, ha apportato, specialmente nell’ultimo mezzo secolo, dei grossi cambiamenti anche dal punto di vista della mentalità umana, mentalità che tende ogni giorno di più verso l’uniformazione al pensiero unico imperante, e questo non è privo di effetti sulla vita di tutti noi.


Di fatto, ci si accorge spesso, quando ci guardiamo attorno, che sta tendendo sempre più all’unanimità la tendenza ad utilizzare gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione per mettersi “in vetrina”, in mostra, in tutti i campi ed in tutti i modi che si riescono a concepire, e tutto ciò che viene messo in vendita, compresi noi stessi, ha un prezzo.

In pratica, gli uomini e le donne di questo millennio sono sempre più disponibili a dire a sé stessi e al mondo: “sono in vendita, e questo è il mio prezzo!”.

Già sentir parlare oggi del lavoro come un “mercato”, e non più come un diritto umano costituzionalmente riconosciuto, è una vergogna che ha del disumano, e ancora più aberrante è il fatto che tutti abbiano accettato questo nuovo dogma mentale, a furia di sentir ripetere a piè sospinto, in televisione e nelle radio, parlando con amici e conoscenti, le parole “mercato del lavoro”, e questa terminologia, grazie alla ripetizione costante, che genera condizionamento e asservimento ad un pensiero che si impone attraverso una volontà ed una pianificazione ben specifiche.

Purtroppo, però, questa finestra di Overton ha avuto delle forti implicazioni anche nella vita quotidiana, nei rapporti interpersonali di ogni sorta e nelle relazioni sentimentali di ognuno di noi, perché dal momento che si assume un rapporto intrinseco alla natura umana (lo scambio di prestazioni) come un mero scambio commerciale, e non più come un fatto puramente umano (l’esistenza di un tessuto sociale si basa sullo scambio, di qualunque genere esso sia, altrimenti non sentiremmo il bisogno di instaurare rapporti umani con il nostro prossimo, ma non per questo siamo sempre stati disposti a dare un prezzo a tutto), allora, per analogia, tendiamo a pensare, erratamente, ma, purtroppo, in maniera sempre più dilagante, che ogni scambio umano possa e debba avere un corrispettivo da pagare.

Di fatto, questo esibizionismo di massa, che viviamo dall’avvento dei social network e la loro conseguente propagazione ad ogni aspetto della nostra vita, tradisce non solo un’insicurezza di fondo, per cui siamo sempre alla continua ricerca di attenzioni da parte del nostro prossimo, ma anche, tristemente, l’implicita dichiarazione che “io ho un prezzo, perché sono in vendita, e quindi sono aperte le trattative”.


Anche negli approcci di tipo sentimentale, infatti, non vi è quasi più alcunché di spontaneo, come magari poteva succedere 40 o 50 anni fa, con i pregi e difetti che questo poteva avere, quando l’amore ed ogni fatto ad esso associato rappresentava il frutto di una liberazione dai vincoli sociali fino ad allora in uso e, quindi, l’affrancamento degli uomini e delle donne dalla volontà prevalentemente genitoriale, che aveva avuto sempre l’ultima parola sul matrimonio filiale, e che utilizzava questo aspetto umano, troppo spesso, come un “patto sociale” che portasse beneficio a tutta la famiglia, e , quindi, veniva vissuto come qualcosa di finalmente spontaneo e privo di sovrastrutture, in quanto era un territorio finalmente sconosciuto e liberato, da vivere con la purezza e l’ingenuità propria dell’età infantile e, quindi, con quell’entusiasmo che la caratterizza.

Invece, oggi, questa immensa (ma solo apparente) disponibilità sociale, fa sentire tutti come se fossimo in grado di operare delle scelte, come se, con tutta questa disponibilità, possiamo vedere l’altro come un comune pezzo di carne che troviamo al supermercato, e quando ci soffermiamo per un attimo davanti ad essi, è solo per verificare se la “carne” è abbastanza fresca da poter meritare di essere messa nel nostro carrello. Pertanto, nel vedere l’altro in questo modo, anche noi stessi abbiamo cominciato ad intenderci come mera merce da presentare agli altri, e quando si decide che la bistecca è abbastanza buona da poter essere consumata, ci si dirige immediatamente verso la cassa chiedendo quale sia il prezzo da pagare, e se il prezzo è troppo alto per i nostri gusti, iniziamo una trattativa logorante, o semplicemente torniamo a riporla sullo scaffale per poter semplicemente passare a scegliere qualcosa d’altro, più alla nostra portata.

Infatti, anche nella relazione in sé, la spontaneità non è quasi mai contemplata, specialmente, mi rendo conto, per quanto riguarda il mondo femminile, che, animalescamente, e come biologia vuole, cerca di assicurarsi, assieme alla prole, qualcuno che “sia all’altezza” di esserle padre e possa assicurare alla famiglia un degno grado di sopravvivenza.

Il pensiero più comune è che in un rapporto “bisogna smussare i lati più spigolosi”, essendo pronti a rinunciare a qualcosa di sé per poter ricevere, in cambio, qualcosa dall’altro, che, a sua volta, dovrà castrare la sua essenza nel tentativo di esserci gradevole in una prostituzione reciproca senza fine e ricavandone continue discussioni, litigi, rinfacciarsi ogni minimo respiro non autorizzato, trattarsi come se fossimo territori di conquista reciproci sui quali poter dettare le nostre leggi.

Ma i rapporti amicali non fanno eccezione, purtroppo. Infatti sono sempre meno quelle amicizie che nascono spontanee e che, inaspettatamente, durano per anni, o per la vita, perché la piacevolezza di quel rapporto trascende qualsiasi ambito prettamente “terreno” e ci porta a star bene con noi stessi e con l’altro.

Quante volte sento persone che si definivano “amici”, spesso anche di una vita, rinfacciarsi questa o quella mancanza, questa o quell’assenza, come se un amico, per essere tale, dovesse rispettare i canoni riportati sull’etichetta mentale che ognuno attribuisce alla parola “amicizia”!!!

Ed è proprio su queste etichette mentali, che ci portano a comportarci come dei completi lobotomizzati, che negli ultimi anni ho visto inserirsi, sempre con maggior veemenza, l’ambito della psicologia, che ha iniziato a stigmatizzare tutti quanti rifiutano categoricamente questa logica di commercio e prostituzione personale, che amano sé stessi a tal punto da impedirsi di sottostare a canoni ed etichette, alle aspettative altrui, all’idea che gli altri possano farsi di loro, all’approccio sentimentale ed amicale come mero “oggetto di commercio”, con un termine (ed un’idea ad esso associata) che indica un individuo egoista, poco attento ai bisogni dell’altro, insensibile alle richieste che gli vengono fatte, causa di sofferenza altrui per il suo pensar per sé: il narcisista.

Ora, quello su cui vorrei soffermare, e che vorrei specificare è che, sì, esistono persone crudeli le quali, non potendo sopportare, a livello mentale, fisico e spirituale, il dolore e la sofferenza che provano, decidono deliberatamente di scaricarla sugli altri, non solo indifferenti all’altrui sofferenza poiché accecati dalla propria, ma carnefici consapevoli e macchinosi che, avendo vissuto la vita da una prospettiva dolorosa, e incapaci di cambiare questa prospettiva, poiché mai hanno conosciuto qualcosa di diverso, sono convinti che la vita sia solo quello, e sono convinti, anche in buona fede, che quello sia l’unico modo per poter dare agli altri “una lezione di vita”, quando invece chi, per primo, quella lezione non l’ha appresa, sono proprio loro, nella maggior parte dei casi, e che non si rendono conto di non avere il compito di sostituirsi alla vita per poter impartire lezioni al prossimo, dato che ognuno ha il compito di apprendere le proprie, personali, lezioni, ma questi non possono, per definizione, essere chiamati narcisisti, visto che il mito di Narciso ci parla di un uomo talmente innamorato di sé stesso e della sua immagine da non riuscire più a vedere altro, mentre la tipologia di uomini sopra menzionati non sono, evidentemente, nemmeno in grado di amare sé stessi.

Ma colui che viene definito “narcisista”, oggi, è colui che, da quello che le definizioni psicologiche lasciano intendere, è molto attento a sé stesso e ai suoi bisogni, consapevole che non esiste al mondo qualcuno che possa conoscerlo e amarlo meglio di sé stesso, che, di conseguenza, assumendosi la piena responsabilità di sé, declina categoricamente ogni responsabilità di come l’altro possa sentirsi a riguardo, consapevole che ognuno è l’unico, vero autore di quanto gli accade dentro, che è il punto di vista sulle cose a fare la differenza, che nessuno è perfetto e che, quindi, c’è sempre spazio e modo per migliorarsi e che, attraverso l’esempio, avrebbe molto da insegnare a chiunque gli stia intorno.

Avete capito il gioco che, ai piani alti (da cui certe tendenze si ramificano, poiché finanziate da volontà precise di condizionamento della società), si sta giocando???

Infatti, avendo vissuto una vita piena e molto intensa, avendo avuto il lusso di contare molti amici, nella mia vita, e notando questa tendenza attuale, mi sono immediatamente reso conto che le persone più meravigliose che io abbia incontrato rispondono pienamente ai canoni di quelli che vengono definiti “narcisisti” dalla psicologia moderna, e sapete perché? Perché sono straordinarie, perché abbattono gli schemi e i canoni imposti dalla società, perché hanno, per volontà o necessità, operato un lavoro di consapevolezza all’interno di sé stessi che li ha portati ad abbattere e trascendere quegli schemi e quei limiti, ad assumersi in via esclusiva la responsabilità di ciò che sono e che sono diventati, hanno piantato semi e ne raccolgono i frutti, portando onore alla propria bellezza e unicità e risplendendo, di conseguenza, come stelle e fari nel mondo, portando luce ovunque passino. Certo, anche loro sono umani, e non sempre sono all’apice delle proprie energie, hanno momenti di debolezza, di stanchezza, hanno anche loro i propri limiti, ma sono autenticamente propri, e non imposti dall’esterno.

E questo, dalla mediocrità imperante della maggioranza, la “massa”, come viene visto? Come un essere egoista che non si rende conto di quanto fa soffrire gli altri con la sua indipendenza, con la sua imprevedibilità, col suo non piegarsi ai canoni che loro, certi di essere i “buoni”, poiché rispettano pienamente le aspettative che il sistema sociale ha su di essi, castrandosi a tal punto da non riuscire nemmeno ad incarnare la pallida ombra di sé, per paura delle conseguenze, per paura dei giudizi, per le aspettative, la totale assenza di responsabilità e, in pratica, la totale assenza di ogni barlume di spirito e di personalità!

E non avete idea di quanto questa schifezza attecchisca bene! Perché la maggioranza, ormai abituata a delegare anche i propri respiri, completamente condizionata e deresponsabilizzata, e quindi, per definizione “vittima” della società, nella sua insignificanza, per sopravvivere, ha sempre bisogno di trovare un “cattivo” all’esterno, un cattivo che possa dimostrar loro che, in fondo, loro sono i “buoni”, e che possa anche essere il bersaglio autorizzato dei propri sentimenti e delle proprie emozioni più basse e negative, dovute al fatto che fanno una vita frustrante da schiavi senza rendersene minimamente conto ma, anzi, volendo imporre anche agli altri le scelte che sono proprie!

Perché è vero, in fondo, che non ha alcun senso seguire le regole se non le seguono tutti, e che il senso civico imporrebbe a ciascuno di non travalicare quel limite che distingue la propria libertà da quella altrui, ma quando queste regole sono ingiuste, antiumane, schiavili e inique, altrettanto il senso civico imporrebbe di travalicarle per poter vivere in un mondo più giusto ed equo.

Invece no, è bellissimo ricevere attenzioni quando si piange in pubblico, vero? Esattamente come fanno i bambini, che ancora non hanno sviluppato una coscienza propria. Ed è tristissimo vedere come la maggioranza di essi non la svilupperà mai.

Ma la cosa che mi disgusta maggiormente, non è tanto chi mette in atto queste dinamiche infantili (anche se questa assenza di coscienza li rende facilmente pericolosi, poiché quando uno si sente autorizzato a ridurre umanamente qualcuno ad un mero “problema” potrebbe tranquillamente mandare in galera un innocente, se non peggio), quanto il fatto che questi piagnoni indecenti ricevano una montagna di apprezzamenti sui social, piogge di like, commenti che offrono spalle su cui piangere, e la demonizzazione della libertà continua, cambiando forma, ma mai la sostanza, e giocando sempre sul senso di comodità dell’uomo, che si sente al sicuro nel rifugiarsi nel suo cantuccio di mediocrità, sperando di non doversi mai confrontare con qualcosa di diverso.

Ieri leggevo un post che rappresenta la cosa in maniera molto sintetica: “la maggior parte degli uomini non vuole la libertà, ma vuole solo un padrone più giusto!”.

Augurandomi che nessun uomo libero possa subire mai più la frustrazione e la mediocrità altrui in un modo che sia capace di ledere la sua dignità, voglio lanciare un appello, perché questo continuo attacco cada, ancora una volta, nel vuoto, prendendo spunto dalla frase più famosa di Steve Jobs: “Siate spietati, siate liberi!”.


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