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Copertina: Stalin? Ha perso, anche se ha vinto
Stalin. Ha perso, anche se ha vinto
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Interstellar: analisi scientifica e spunti di riflessione

Suggestiva rappresentazione dell'Universo

Tabella dei contenuti

Devo dire che le aspettative di questo gradevole film di fantascienza, sono state largamente rispettate, in quanto la sua visione è coinvolgente fino alle profonde emozioni che sono riusciti a instillare nello spettatore.

Quando un film riesce in questo difficile compito, ovvero portare lo spettatore al totale coinvolgimento emotivo, ritengo che sia il regista che gli attori possano ritenersi più che soddisfatti, poiché hanno raggiunto quello che, per me, dovrebbe essere l’obiettivo principale di un buon film, trasmettere emozioni profonde.

Ho avuto modo di leggere diverse critiche circa questa pellicola, da quelle di scienziati o pseudo tali che hanno demolito i vari tentativi del regista di distorcere o tirare per i capelli le loro tanto preziose leggi della fisica, mescolando, in pratica, il sacro con il profano e, se devo essere onesto, all’interno di questo film, effettivamente, di scientifico non c’è praticamente nulla.

Ma la peima impressione è che, nella testa di chi ha voluto scrivere la storia e, successivamente, la sceneggiatura di questo film, non avesse alcuna intenzione di cavalcare la possibilità scientifica di quanto viene raccontato, ma sicuramente voleva lanciare dei messaggi allo spettatore, totalmente differenti.

In effetti, se andiamo ad analizzare pedissequamente l’intera struttura della storia, si possono identificare non solo delle gigantesche incongruenze, basate solo ed esclusivamente su delle teorie totalmente arbitrarie e assolutamente lontane anni luce da quelle che potrebbero essere, appunto, delle evidenze scientifiche, ma anche delle libertà romanzate, che nulla possono avere a che fare con la Scienza con la S maiuscola.

Proprio per questo si tratta di un film di fantascienza!

Per chi non la conoscesse, rapidamente ripercorriamo l’intera storia che narra di una famiglia composta dall’ottimo Cooper (Matthew McCounaghey) e dalla figlioletta decenne Murphy (Jessica Chastan), che vivono in un mondo distopico sull’orlo dell’estinzione per via di una “piaga” che ha aggredito l’intero ecosistema dei cereali, distruggendolo fino alle estreme conseguenze.

E qui si nota il primo messaggio che il film vuole mandare, ovvero che la continua immissione nell’atmosfera di sostanze inquinanti ha fatto si che tale “virus” prendesse piede e innescasse il meccanismo per cui, essendosi adattato alle nuove condizioni climatiche, facesse strage di tutte le colture necessarie per la sopravvivenza dell’essere umano.

E nella fattoria dei nostri eroi, e più precisamente nella cameretta di Murphy, avviene un fenomeno molto strano, al quale sia la figlia che il padre si interessano sempre di più, definendolo scherzosamente un “fantasma”.

Grazie alle “indicazioni” di questo fantasma, padre e figlia riescono a identificare delle coordinate geografiche, seguendo le quali si ritrovano al NORAD, di americana memoria (centro spaziale della N.A.S.A.) dove trovano, fra gli altri, una vecchia conoscenza di Cooper, il professor Brand, insieme alla figlia, anche lei dottoressa in fisica, Amelia Brand (Anne Hathaway), che gli spiegano, in buona sostanza, che 40 anni prima hanno scoperto un wormhole (ponte di Einstein-Rosen) posizionato vicino a Saturno, e che nei precedenti 10 anni hanno messo in piedi una complessa spedizione, mandando 12 “esploratori” all’interno di questo “portale” per capire dove potesse condurre.

In seguito, e dopo avergli illustrato il loro piano, basato su un’equazione che il professor Brand sta tentando di risolvere, gli chiedono di guidare la nuova missione che li avrebbe portati ad esplorare i 3 nuovi mondi identificati al di là del Wormhole – in una nuova galassia – per capire se in uno dei tre si potesse avere la speranza di trasferire l’intera umanità, come se fosse una nuova casa.

E qui faccio una pausa sulla storia, per capire quelle sono le prime, per me, incongruenze, poiché la teoria dei Wormhole, appunto, è una teoria, espressa per la prima volta nel 1916 dal fisico Ludwig Flamm, e ripresa poi da Albert Einstein e Nathan Rosen – da qui il nome ponte di Einstein-Rosen – nel 1935, che, in pratica, spiega come sia possibile andare da un punto A ad un punto B nello spazio non percorrendo la linea retta – troppo lunga – ma “piegando” letteralmente lo spazio come un foglio di carta e, quindi, percorrere la distanza fra i due punti quasi istantaneamente.

Quindi questo, letteralmente, “buco di verme” sarebbe una “scorciatoia” che permette di percorrere distanze di migliaia di anni luce in pochissimo tempo, passando da una galassia ad un’altra nello stesso modo in cui si può fare da una strada statale ad un’autostrada.

Ma è proprio qui che, come si dice spesso, “casca l’asino”, in quanto questa affascinante teoria non considera alcuni aspetti pratici dell’intera situazione, il primo dei quali è come sia possibile creare un tale passaggio, come lo si possa muovere e spostare a proprio piacimento e, soprattutto, dove conduce o, per meglio dire, in quale direzione lo si possa “puntare”.

Secondariamente, e non è cosa da poco, bisognerebbe che sia una cosa di facile “produzione” e “posizionamento”, nonché di una certa durata, in quanto se un’astronave ci passasse dentro e, magari, andasse a finire nella galassia di Andromeda, lo si dovrebbe poter tenere aperto fino a quando detta astronave non fosse pronta per tornare indietro.

Per concludere questo aspetto, è indiscutibile il fatto che, magari, si possa andare dalla Via Lattea ad Andromeda in un lasso di tempo relativamente breve – come nel film, pochi minuti – ma resta sempre il fatto che si sarebbe a 2,5 milioni di anni luce di distanza, il che implicherebbe, senza ombra di dubbio, delle modificazioni spazio-temporali su chi attraversasse questo portale.

Tornando al film, una volta finiti nella nuova galassia (o luogo diverso dalla nostra, ma più lontano), i nostri eroi si trovano vicini ad un buco nero denominato Gargantua, intorno al quale ci sono i 12 pianeti dove sono andati i precedenti esploratori.

Solo 3 di loro hanno rimandato indietro dei segnali abbastanza promettenti (gli altri 9, probabilmente, sono morti, ma nel film non lo specificano) sul pianeta da loro visitato e, quindi, i 4 partecipanti alla nuova missione decidono di far visita al primo pianeta dove si pensa che le condizioni di vita siano migliori.

Essendo questo pianeta molto vicino a Gargantua, sanno che una visita sulla sua superficie comporterebbe, per l’effetto dello “scivolamento temporale” un differente passare del tempo, per loro, rispetto agli abitanti della Terra e, per chi resterà sulla nave madre, di circa 7 anni ogni ora passata sul pianeta.

Una volta scesi su questo pianeta, si rendono conto della sua inospitalità, dovuta al fatto che è sostanzialmente ricoperto per intero da un unico oceano, coinvolto in un moto ondoso di dimensioni inimmaginabili e con una frequenza di un paio d’ore fra onda e onda.

In seguito ad alcune frenetiche manovre, vengono investiti da un’onda gigantesca che gli fa perdere più di due ore di tempo per ripristinare la propulsione, oltre ad uccidere uno degli scienziati componenti l’equipaggio.

Tornati sulla nave madre, si rendono conto che il tempo passato sul pianeta corrisponde a circa 23 anni nella realtà esterna, compresa quella della Terra, per cui si innescano tutta una serie di scene facenti capo ai messaggi che, nel frattempo, i figli gli hanno inviato.

Cooper, in 4 o 5 minuti di riprese, si vede passare davanti agli occhi i 23 anni che i figli hanno passato sulla Terra, cercando di capire dove fosse finito il loro papà.

Analizzando questa sequenza di eventi, viene da domandarsi immediatamente su quale base di calcolo sia stato tracciato il rapporto di sfasamento temporale 1 ora = 7 anni che, a parer mio, è del tutto arbitraria, non avendo alcuna base scientifica.

Ma passiamo oltre, concedendo all’andamento filmico questa licenza scientifica, e vediamo il prosieguo della pellicola che ci parla della difficile decisione che i nostri astronauti si trovano a dover prendere: andare dal dottor Mann (Matt Damon), ideatore dell’intero progetto, o seguire i sentimenti della dottoressa Brand e visitare il pianeta dove si trova il suo innamorato, il dottor Edmunds.

Dopo uno scambio di battute fra Cooper e la Brand, viene deciso di provare prima con il dottor Mann, dal quale si recano, trovandolo addormentato nella capsula del criosonno, dalla quale viene risvegliato (magari dopo 3 o 4 anni che vi si trova dentro. Molto incredibilmente, dopo appena 5 minuti dal risveglio è perfettamente in forma, come se nulla fosse stato, dimenticandosi che dopo essere restati per 5 anni in una stessa posizione, probabilmente, ci vorrebbero almeno 6 mesi, se non un anno per riprendere le proprie funzioni normali, sempre ammesso che ciò sia possibile) e nelle scene successive spiega che tipo di mondo sia il suo.

Nel finale abbiamo anche una parte di thriller, in quanto il dottor Mann, avendo mentito sulle reali possibilità del suo mondo solo allo scopo di farsi venire a prendere da una missione di soccorso, riesce a rubare una delle navette, con la quale si dirige alla nave madre per poter, così, tornare sulla Terra, ovviamente inseguito da Cooper e dalla Brand.

In seguito a vicende molto concitate, Mann decide di tentare di aprire il passaggio verso l’interno della nave madre, nonostante non si sia allineato perfettamente e, di conseguenza, provoca una fortissima esplosione sia della navetta che della nave madre – immaginiamo, morendo – e, così, costringendo Cooper a delle manovre assurde (sopratutto nella realtà) per poter riallinearsi alla nave madre con la seconda navicella.

Una volta dentro, si rendono conto che l’esplosione li ha portati a letteralmente “cadere” verso Gargantua che, con la sua forza di gravità, li sta inesorabilmente attraendo verso di sé e verso una orribile morte.

Richiamando alcune leggi della fisica e, in special modo, il terzo principio della dinamica, secondo il quale ad “un’azione corrisponde una reazione pari ed inversa”, Cooper studia un sistema per liberarsi della forza gravitazionale di Gargantua e riuscire, così, a ritornare sulla Terra, tacendo, per altro, alla dottoressa Brand che questa manovra richiede il rilascio anche della sua navicella, che fatalmente verrà risucchiata all’interno del buco nero, e così permettendo alla stessa dottoressa di proseguire la sua missione ed andare a visitare il pianeta di Edmunds.

E qui arriva il bello, poiché, molto stranamente, Cooper non muore, ma entra in una specie di TESSERATTO all’interno del buco nero, costruito con le stesse fattezze della cameretta di sua figlia Murphy in tutto l’arco della sua vita (secondo i discorsi fra Cooper e Tars, che è un androide, pure lui salvatosi dalla caduta nel buco nero, questo Tesseratto è stato creato dagli stessi esseri Pentadimensionali, basandosi sui ricordi dello stesso Cooper).

Una volta capito il meccanismo del Tesseratto, Cooper, con la collaborazione di Tars, riesce a mandare i dati fisici del buco nero a sua figlia, codificandoli secondo l’alfabeto Morse sulla lancetta dei secondi dell’orologio che lui stesso regalò a Murphy prima di andarsene dalla Terra.

Finito ciò, il Tesseratto si chiude, e lui inizia a vagare per lo spazio, dove, 51 anni dopo, a causa dello sfasamento temporale dovuto all’avvicinarsi troppo al buco nero, viene raccolto da alcune navicelle di Rangers della Terra.

Riportato su una nuovissima ed avveniristica Stazione Spaziale, costruita sulla base dei dati che lui aveva inviato a sua figlia dal buco nero, intorno a Saturno, si risveglia in un letto di ospedale, dove gli raccontano che lui, in realtà, ha 123 anni, e che sua figlia sta per venire su quella stazione per rivederlo ancora una volta.

La fine del film ci fa vedere l’incontro commovente di Cooper giovane – anche se ha 123 anni – con la madre, che è in punto di morte, attorniata dai suoi figli e nipoti, i quali si scambiano poche parole, nelle quali si ripercorrono le modalità con le quali tutta questa avventura è iniziata, fin da quando i due si sono accorti del “fantasma” di Murphy, e da questo (altri non era Cooper che mandava segnali dal buco nero del futuro) avevano ottenuto le coordinate per raggiungere il NORAD e, così, iniziare l’avventura che avrebbe portato alla salvezza la razza umana sulle nuove stazioni spaziali.

Fin dall’ingresso nel buco nero, l’intera costruzione della storia filmica lascia definitivamente ogni possibile parallelismo a qualsiasi cosa che si possa chiamare scienza, e viaggia solo ed esclusivamente sulla fantasia dell’autore.

Tuttavia, ai fini della gradevolezza del film, è assolutamente valido e plausibile, per cui nulla da obiettare.

Quello che, personalmente, ho voluto intravedere fra le righe della sceneggiatura è un altro tipo di messaggio, e riguarda l’assoluta casualità della vita umana, unita alla nostra indiscussa temporaneità e fragilità, avverso alla quale ben poco possiamo o potremo mai.

Come è già stato ampiamente dimostrato nel lontano passato del nostro pianeta, basta un piccolo sassolino di appena 10 km di diametro a cancellare quasi ogni forma di vita dalla faccia del pianeta, come la stessa cosa potrebbe avvenire per l’improvvisa eruzione di uno dei super vulcani esistenti (Yellowstone, Campi Flegrei, Toba) o, altresì, l’emissione di un super Flare solare da 100 microTesla, che ci cancellerebbe all’istante, per comprendere quanto fragili e impotenti possiamo essere di fronte alla devastante immensità e violenza della natura.

Al contempo, c’è da dire che, nonostante questa nostra naturale fragilità e “debolezza”, viene accompagnata dalla splendida creatività di cui siamo portatori e della infinita bellezza che ci è stata data da gestire.

Per cui, cerchiamo di farne tesoro, e non sprechiamo nemmeno un attimo di questo immenso dono che abbiamo: la vita.

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