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Il progetto manhattan e le sue reali motivazioni

esplosione nucleare

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Ufficialmente, il progetto Manhattan nasce nel 1942 e dura fino al 1946, ad opera di una serie di scienziati, militari e politici americani e non solo, che gestirono, sostanzialmente, lo studio, la creazione, i test e l’uso effettivo delle prime bombe atomiche della storia.

A capo di tale progetto, da parte militare, c’era il generale Lelslie Groves, mentre a comandare il folto stuolo di scienziati, fra i quali Albert Einstein, c’era l’altrettanto famoso Robert Oppenheimer, fisico teorico dell’università della California.

Per semplici motivi fisici, il progetto nacque sotto la supervisione, dapprima riluttante e poi, via via, sempre più decisa, di Franklin Delano Roosevelt, presidente degli Stati Uniti d’America, che lo tramandò, dopo la sua morte, avvenuta il 12 aprile del 1945, al suo successore Harry Truman.

In effetti il progetto Manhattan non nacque nell’aprile del 1942, cioè quando, ormai, la seconda guerra mondiale infuriava su tutto il globo terrestre e, quindi, con delle motivazioni strettamente militari, ma i suoi albori si intravidero già fin dal 1919, quando il fisico neozelandese Ernest Rutheford eseguì i primi rivoluzionari esperimenti sulla disintegrazione dell’atomo.

Senza dilungarmi troppo su tutta la parte precedente alla reale costituzione del progetto Manhattan – vi rimando al link specifico –, è dalla fine degli anni 30 che il reale interesse per le potenzialità legate alla creazione di energia senza limiti dalla disintegrazione dell’atomo si fece più pressante e, addirittura, coinvolse una serie di famosi scienziati, nel tentativo di coinvolgere le alte sfere politiche del paese affinché si rendessero conto che vi era la necessità di perseguire questa strada per poter dotare la “macchina bellica” di un’arma dal potere distruttivo “definitivo”.

Va sicuramente ricordato che vi era una discreta parte di scienziati coinvolti nel progetto che, fino a poche ore prima del test effettuato ad Alamagordo, nel deserto del New Mexico, e denominato “Trinity”, ove venne fatta esplodere la prima bomba nucleare del mondo, erano convinti che si sarebbe potuta innescare una fusione a catena nell’atmosfera terrestre, e che tutto avrebbe significato la fine della vita sulla terra.

https://it.wikipedia.org/wiki/Progetto_Manhattan

Ma il punto focale di tutto ciò sono proprio le date con le quali tutto ciò è iniziato e ha preso forma, e cioè prima ancora che la seconda guerra mondiale avesse inizio, nella sua forma di semplice progetto per la ricerca di applicazioni militari dell’energia atomica e, successivamente, agli inizi del 1942, prese sempre più corpo – anche sotto la spinta degli avvenimenti che si sviluppavano oltre Atlantico – sotto la falsa motivazione di una corsa contro il tempo e contro Hitler, per evitare che quest’ultimo si dotasse di pari tecnologia e la rivolgesse contro gli alleati.

Era da pochi mesi che c’era stato l’attacco di Pearl Harbor, e il pesantissimo smacco, sia fisico che morale, agli americani da parte del Sol Levante – 7 dicembre 1941 – e la profonda ferita che questa azione produsse nell’opinione pubblica americana, bruciava ancora molto forte, ed ecco spiegata l’accelerazione di un progetto nato quasi 4 anni prima per tutt’altri motivi rispetto a quelli indicati.

Perché può anche darsi che l’intelligence americana fosse così “sveglia” ed arguta da aver previsto tutto quello che ebbe inizio il 1° settembre del 1939, con l’attacco della Polonia da parte della Germania e, ovviamente, degli avvenimenti successivi e del perdurare, per 6 anni, della guerra mondiale (se fossero stati così arguti avrebbero previsto con largo anticipo il massacro di Pearl Harbor, mentre, invece, furono colti comodamente sdraiati al sole delle Hawaii, lontani milioni di km dal pensiero di un attacco nipponico), ma, sicuramente, le motivazioni per le quali si dette il via ad uno studio scientifico sull’atomo per poterlo rendere disponibile all’uso militare, sono da ricercarsi in altri luoghi.

Una di queste motivazioni (opinione del tutto personale, ma che ritengo assai attinente alla realtà) della natura americana, è basata sulla incrollabile volontà espansionistica e di assoluto controllo che pervade l’intero popolo americano, unito alla consapevolezza di essere destinatari del controllo delle sorti del mondo ed, in qualche modo – come possiamo vederlo da 70 anni a questa parte –, di essere autorizzati da qualche autorità “superiore” a dettare legge ad ogni popolo di questa piccola bilia spersa nell’universo infinito.

La seconda motivazione è dovuta proprio al fatto che si siano sentiti colpiti nel vivo con l’attacco a tradimento – secondo loro – subito a Pearl Harbor e, quindi, si sono dati da fare alacremente per cercare e trovare la loro vendetta, a qualsiasi costo.

Come sappiamo, il 16 luglio del 1945 ad Alamagordo andò in scena il primo test nucleare dell’umanità, con l’estrema soddisfazione del nuovo presidente Truman e i balli e brindisi di tutti gli scienziati e militari presenti all’evento, dando il via a quell’apocalisse che, di lì a poco, sarebbe stata fatta deflagrare sopra la testa di ignari cittadini Giapponesi ad Hiroshima e Nagasaki.

Le oltre 130.000 persone che erano state coinvolte nel progetto Manhattan, insieme agli oltre 2 miliardi di dollari spesi, avevano fatto sì che si realizzassero, in tutto, 4 ordigni nucleari della potenza singola di 21 kilotoni (Nagasaki) e 16 kilotoni (Hiroshima), più la bomba fatta esplodere ad Alamagordo, e denominata “Gadget” (!!!) ed un altro ordigno, che venne tenuto di riserva, pronto ad essere sganciato sul Giappone intorno al 12 o 13 di agosto qualora le prime due non avessero sortito gli esiti sperati.

E qui arriviamo ad una fase estremamente complicata di tutta la vicenda, ovverosia i rapporti che c’erano – di odio/amore – con gli alleati Russi e con il loro temutissimo capo, Stalin.

Nei frenetici giorni immediatamente successivi al test Trinity, si dette il via ad un balletto realmente surreale fra Usa, Russia, gran Bretagna e Cina, che condusse, il 26 dello stesso mese, all’accordo di Postdam, con il quale venne recapitato al Giappone l’ultimo invito ad una resa incondizionata.

Vale la pena soppesare bene le parole che furono scritte in tale accordo, a firma dei 4 Grandi, che fu trasmesso a sua altezza, l’Imperatore del Giappone Hirohito: “ …Seguendo i nostri termini. Non devieremo da essi. Non ci sono alternative. Non permetteremo alcun ritardo … l’alternativa per il Giappone è la pronta e totale distruzione”.

I fatti successivi furono ulteriormente peggiorativi della situazione giapponese; l’Imperatore, il quale aveva manifestato a più riprese la volontà di porre termine alle ostilità ed alle inutili morti, sia da una parte che dall’altra (ma, ovviamente, quando un paese, sotto il fuoco nemico, si sente dire che si deve arrendere a tutti i costi ed assolutamente senza alcuna condizione, che, tradotto, voleva dire la totale sottomissione di fatto agli americani e un futuro assolutamente nero ed incerto per tutto il proprio popolo, sottoposto al sostanziale giogo della schiavitù, le risposte che puoi dare sono molto limitate), si accorse del peggiorare della situazione con l’annuncio da parte di Molotov, della dichiarazione di guerra dell’Unione Sovietica, come poi puntualmente accadde il 9 di agosto del 1945.

Alle 8,15 del 6 agosto 1945, Little Boy, la prima bomba atomica della storia umana, fu sganciata ad un’altezza di circa 600 metri sopra la città di Hiroshima, uccidendo all’istante circa 75 mila persone, ferendone altrettante e radendo completamente al suolo l’intera città, composta di circa 240.000 abitanti (gli americani si sono sempre giustificati dicendo che Hiroshima era una città prevalentemente industriale, dedicata alla produzione bellica, ma era completamente falso).

Il 9 agosto, alle 11.02, ad un’altezza di 550 metri circa, fu sganciata su Nagasaki, cittadina di circa 350.000 abitanti, la seconda atomica, denominata Fat Boy (grassone), che sterminò istantaneamente più di 140.000 persone e ne ferì altre 80.000.

Il totale dei morti di queste due aberrazioni umane, fu di circa 220 mila persone, ma va ricordato che nel computo devono essere calcolati anche almeno il 50% di feriti nelle immediate settimane successive e, come minimo, un altro 20 o 30% nel seguente futuro, portando così il totale delle vittime a circa 300 mila entro la fine del 1945.

https://nagasakipeace.jp/content/files/minimini/italian/i_gaiyou.pdf

E tutto questo solo ed esclusivamente perché i Giapponesi si erano rifiutati di accettare la resa “incondizionata”, ma avevano obiettato debolmente che volevano sì arrendersi, ma non era loro intenzione diventare schiavi di nessuno.

C’è un interessante studio di Vassilij Molodjakov che ripropone la visione del perché i Giapponesi, dopo Hiroshima e Nagasaki, si siano arresi e, contrariamente al sentire comune, argomenta una diversa tesi per questa vicenda assai ingarbugliata.

https://www.storiauniversale.it/96-LA-RESA-DEL-GIAPPONE.htm

Concludendo questo lungo articolo, vorrei semplicemente sottolineare come e perché venne deciso, dall’allora comandante in capo delle forze militari Statunitensi, Harry Truman, di “sacrificare”, nel modo più inutile possibile, 300 mila vite umane, piuttosto che riconoscere “l’onore della sconfitta” al proprio nemico, non tanto per risparmiare, come ebbe a dire in seguito lo stesso presidente, ancora un lungo tempo di guerra con altri “milioni di morti”, ma solo ed esclusivamente per un puro motivo di vendetta personale e come monito verso lo scomodissimo alleato russo.

Se preso a sé stante, questo esempio potrebbe non essere sufficiente per capire “chi sono veramente gli americani”, ma se si unisce questo evento agli efferati e terrificanti bombardamenti di Amburgo e Dresda (città culturale e senza nemmeno l’ombra di una fabbrica) con bombe al fosforo e termite, dove trovarono la morte fra le 80 e 250 mila persone – la cifra ancora oggi è dibattuta –, la visione appare sicuramente più chiara.

D’altronde, il popolo americano è quello che, tranquillamente, ha sterminato circa 90 milioni di indigeni nell’arco di 3 secoli, solo per il fatto che la terra la volevano loro.

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