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L’attesa percepita come intollerabile

bambino capriccioso che urla

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Ho notato che sempre più bambini sono intolleranti dinanzi a situazioni di “attesa”, e i genitori sempre meno capaci di dare un “NO” come risposta al proprio piccino diletto.

Anche per questi comportamenti si dà la colpa alla tecnologia? Cellulare in mano a controllare i post degli amici, o a farsi selfie e via discorrendo, e pargoli a seguito con smartphone extra large che hanno bisogno di tre manine per tenerli? Beh! Tutto è possibile, visto che i telefonini sono ormai diventati un’appendice vitale del nostro corpo.

Lo spunto di riflessione

Questa mattina, al parco, mi gustavo la singolare risposta comportamentale di un bambino, che a mio avviso, non era stato abituato ad aspettare. Il piccolo ha iniziato a strillare perché la mamma non si sbrigava, la donna aveva iniziato a chiacchierare con un’amica, guarda caso, del video che aveva postato su Youtube. Il figlio non faceva altro che interrompere la conversazione, fino a quando, stufo di aspettare, ha iniziato a manifestare il tipico comportamento “irritante”.

E la mamma? Subito ha troncato la conversazione, perché ha temuto che quell’attesa fosse divenuta troppo intollerabile per il figlioletto.

In realtà, quel bambino incapace di aspettare non era in grado di gestire le sue emozioni, plausibilmente molto intense, e tali da procurargli uno stato di frustrazione e tristezza.

Il senso del tempo

Il senso del tempo è interpretato in maniera soggettiva dai piccoli, i quali vivono fortemente il “qui e ora”.

Penso a noi adulti: percepiamo quel senso di malessere quando ci avviciniamo alla cassa del supermercato e vediamo una fila interminabile che ci precede. Per non parlare, poi, dell’attesa in uno studio medico, le persone prima di noi entrano e abbiamo la sensazione che non escano mai, o che mai arrivi il nostro turno.

L’attesa rende nervosi e genera atteggiamenti sgradevoli, ma gli adulti sanno, o dovrebbero sapere, il condizionale è d’obbligo con riferimento ai comportamenti di certe persone adulte, come gestire quel disagio generato dal dover attendere.

Il bambino piccolo, quando non ottiene immediatamente quello che vuole, ha la percezione che aspettare gli procuri uno stato di sofferenza. Quello che lui avverte è reale, si basa sulla sua esperienza, ma deve anche imparare che attendere qualche istante, ogni tanto, non è una catastrofe, che uscirà illeso da quel turbinio di emozioni che quegli attimi di attesa gli hanno provocato.

Educare all’attesa

Se l’attesa ha una durata tollerabile e ripetuta nel tempo, il bambino, piano piano, acquisisce fiducia in sè stesso, nella sua capacità di fronteggiare da solo quel momento.

Può verificarsi la situazione in cui l’adulto di riferimento, facendo aspettare il piccolo, si consideri come persona insensibile e cattiva; mi chiedo se, in quel preciso istante, non si stia identificando con il bambino, assecondando il suo lato infantile.

Il riflesso del genitore sul bambino

Se io trovo irritante e angosciosa l’attesa, e sono incapace di arginare i sentimenti di quel momento, manifestando comportamenti inadeguati, come posso insegnare a mio figlio un altro aspetto dell’attesa?

Non ci si deve sentire né crudeli né in colpa se, in alcuni casi, si fa aspettare il bambino, sempre nel limite della sua tolleranza (ricordiamo che è comunque sempre un bambino). Aspettare, dire di no, non guasta, non è pericoloso, non mettere paletti lo è, perché così non si danno al bambino gli strumenti per arginare quella baraonda di sentimenti che percepisce e che lo fanno sentire triste nelle situazioni che non sono “qui e ora”.

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