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Il denaro: perché sarebbe giusto sopprimerlo

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L’invenzione della moneta

Le monete, intese ed utilizzate come unità di misura per gli scambi, sono state coniate per la prima volta sul finire del VII secolo a.C. nella Lidia, antica regione poco al di sotto del Bosforo, nell’attuale Turchia centro-occidentale, dal re Creso, anche famoso per il comune detto “ricco come un Creso” che stava a significare in sostanza la capacità di trasformare tutto ciò che toccava in oro.

È del tutto ovvio che tale credenza, diffusasi in tutto il Mediterraneo, era più legata alle imprese militari del sovrano, piuttosto che ad una reale capacità di trasformare gli oggetti toccati in oro, e anche poiché era praticamente l’ultimo baluardo greco contro l’avanzata Persiana nell’Anatolia, che, purtroppo, nel 546 a.C. fallì miseramente, dando così a Ciro il Grande il possesso dell’intera regione Anatolica.

Quindi, come detto, alla fine del VII secolo compare la prima moneta, il che che rendeva gli scambi di merci più semplici, dando il via a quella che oggi ci sovrasta incontrastata in ogni aspetto della nostra vita quotidiana e che si chiama ECONOMIA.

Nei secoli successivi si è potuto osservare come un semplice gesto, compiuto da una persona qualsiasi – un re è un singolo uomo e, con molta probabilità, Creso aveva alle spalle una qualche fantomatica “eminenza grigia” che lo ha consigliato di fare ciò che, poi, in effetti fece – abbia modificato radicalmente l’intera società mondiale in tutti i 2500 anni successivi.

Infatti la coniazione di una semplice “moneta” – con molta probabilità il nome deriva da “moneta” e cioè “avvertire”, poiché le oche del Campidoglio riuscirono ad avvertire i Romani dell’arrivo di Brenno, che poi pose sotto assedio la stessa città, riuscendo a penetrarvi infine e a chiedere un lauto riscatto per lasciarla libera e, fra parentesi, pronunciando una delle più famose frasi storiche ovvero “vae victis” che vuol dire “guai ai vinti” – non solo contribuì all’eliminazione pressoché totale del sistema che si era usato per secoli, e cioè il baratto, ma contribuì pesantemente alla nascita del “mercato” e di tutte le sue appendici come i mercanti, le banche, gli interessi, l’economia, la finanza e tutto quel mondo che, in un modo o nell’altro, gira intorno al “denaro”.

Gli scambi: dal baratto ai giorni nostri

Tornando un attimo indietro nel tempo, possiamo vedere come, fino ad allora, intere popolazioni in tutto il mondo, dagli egiziani ai cinesi, dai Sumeri ai barbari delle steppe russe, avevano usato per scambiarsi le merci solo ed esclusivamente il baratto, ovvero se una persona desiderava delle sete o degli utensili da lavoro, piuttosto che delle armi, poteva barattarle con animali o sementi che magari allevava e coltivava in qualità di agricoltore, e viceversa.

Va ricordato che in uno dei massimi imperi esistiti, quello dei Faraoni d’Egitto, che vide la sua alba intorno al 3000 a.C., per oltre 25 secoli la società ha potuto fiorire fino agli splendori visti sotto Ramses II o Akenaton I senza la presenza di un qualsiasi tipo di denaro da poter utilizzare come scambio.

In effetti, gli Egizi avevano un qualcosa di simile, che venne chiamato “Deben” ed era un simil lingotto fatto di oro, argento o rame di pochi grammi (circa 15) e che poteva servire qualora avessero da fare degli scambi veramente importanti e magari non disponevano del bestiame o delle merci necessarie per completarlo.

E come considerazione generale si può facilmente constatare come l’intera umanità, fin dal 5000 a.C. abbia potuto svilupparsi e campare in tranquillità – tralasciando le continue guerre che si sono succedute nei secoli in ogni dove – senza, per altro, sentire la necessità di un qualcosa da utilizzare nella loro vita al fine di portare avanti i loro commerci e i loro scambi con gli altri popoli.

Se vogliamo essere sinceri, con estrema probabilità il surrogato del denaro erano proprio le guerre o le incursioni negli altri territori compiuti, oltre che per la bramosia di “possesso” di altri territori e di altre genti, proprio per acquisire le materie prime che sapevano abbondanti presso il popolo attaccato.

Il lato oscuro dell’uomo e la sua manifestazione nel rapporto col denaro

D’altra parte, questo è un discorso totalmente differente, poiché sprofonda le sue radici nella natura genetica dell’uomo e nella sua caratteristica principale, che è la volontà di prevalere sui propri simili, di sottometterli e di sentirsi in qualche modo “padrone” del mondo o, per lo meno, del suo mondo.

Ritornando al denaro, a quello che abbiamo visto succedere nei secoli passati e senza voler comporre qui una sua storia dettagliata (le biblioteche sono piene di trattati, studi e libri che trattano l’argomento fin nei minimi dettagli storici, filosofici e sociologici), va detto che più si diffuse l’uso del denaro a livello mondiale e, successivamente, anche la creazione delle prime forme di “carta moneta” – cioè di un qualcosa che non aveva stretto rapporto con il peso o il valore della moneta stessa in oro o argento – e anche in virtù del fatto stesso che sulla scia del detto “fatta la legge, trovato l’inganno” le persone avevano escogitato quello che venne chiamato “tosatura” che consisteva nel raschiare dal bordo della moneta stessa un certo quantitativo di materiale prezioso, in modo che, facendolo su un numero sufficiente di monete – magari 10 o più – si riusciva ad ottenere il controvalore di una moneta aggiuntiva, va detto che uno dei momenti salienti e più significativi della storia del denaro è rappresentato appunto dalla creazione di un “controvalore garantito” dallo stato stesso che emetteva le monete.

L’invenzione della moneta e la sua evoluzione

Il primo uomo che si premurò di stampare le prime monete fu l’imperatore Xian Zon nell’806 d.C. Al fine di rendere meno difficoltoso il trasferimento delle preziose materie prime collocate presso gli istituti bancari – oro e argento – e per poter eseguire le transazioni in modo più rapido e meno faticoso del doversi portare dietro notevoli pesi di oro e argento, facilmente depredabili dai predoni, di cui la Cina era piena.

In Europa, la carta moneta arrivò molto in ritardo, facendo la sua comparsa intorno al XVIII secolo ad opera della Bank of England che, in seguito, fu anche la prima a ratificare ed inventare quello che poi si sarebbe chiamato “Gold Standard” ovvero la “parità aurea” decretata nel 1844, che serviva a dare ai propri cittadini una garanzia sulla carta moneta che la stessa zecca statale emetteva come titoli di credito.

In seguito agli accordi di Bretton Woods del 1944, e dopo aver attraversato le immense difficoltà create dalle due guerre e dalla crisi del ’29 americana, nel 1971 il Gold Standard ebbe fine definitivamente, lasciando spazio allo “Smithsonian Agreement” che sancì la definitiva inconvertibilità del denaro in pari oro, ovvero la famosa o famigerata “parità aurea” ebbe termine dopo poco più di un secolo dalla sua nascita.

Riepilogando, abbiamo visto come per quasi 5000 anni l’umanità abbia fatto tranquillamente a meno del denaro, per circa 2000 anni si è avvalsa di forme di pagamento varie attraverso monete, carta moneta e titoli di credito – da tenere presente che la stessa carta moneta si deve definire “titolo di credito” poiché stampate sopra tutti i biglietti bancari vi erano proprio le parole “pagabili a vista al portatore” nelle varie lingue – e che da poco più di 50 anni il possente Draghi, rappresentativo della Finanza ed Economia, si è finalmente liberato dalle catene che lo tenevano a freno, dandosi alla pazza gioia con tutte le sue perversioni.

Già solo questo fatto dovrebbe far intravedere chiaramente a tutti quanti il terribile autolesionismo dell’uomo nel creare un qualcosa che, lungi dal facilitargli la vita, ci sta portando sempre più rapidamente sull’orlo di un nero baratro dal quale, con molta probabilità, non riusciremo più ad uscire.

E qui bisogna precisare alcuni punti molto importanti, al fine di comprendere quanto verrà illustrato successivamente, il primo dei quali riguarda il perché sia nato il denaro, e con esso tutte le storture che gli sono strettamente connesse.

In buona sostanza, le motivazioni del perché sia nato il denaro e, soprattutto, le tasse, sta nel fatto della semplicità intrinseca nel maneggiare delle semplici monete, piuttosto che nel dover immagazzinare grandi quantitativi di merci da dare in pagamento di qualche servizio o rilasciate proprio per far fronte a quelle che erano, nell’antichità, le tasse da pagare allo stato centrale.

E proprio delle tasse avremo modo di parlare approfonditamente in seguito.

La nascita della borsa e la speculazione finanziaria

Dopo questa breve analisi sul perché sia giustamente nato il denaro come mezzo maggiormente efficace per scambiare prodotti fra le popolazioni, sia locali che di altri paesi – da tenere presente che nonostante non ci fosse l’attuale globalizzazione, di norma le monete utilizzate negli scambi erano composte di materiali “nobili” quali l’oro e l’argento, i quali erano universalmente riconosciuti come merce di scambio al di là del valore estrinseco delle monete – arriviamo ai giorni nostri, cercando di comprendere come, in qualche modo, tutto il mondo che circonda il denaro, per così dire “ci ha un po’ preso la mano”, andando ben oltre a quello che era lo scopo principale di tale meccanismo.

Alla fine del 1500 ad Anversa, nei palazzi della famiglia aristocratica Van der Bourse (da qui il nome borsa), nacque la prima vera Borsa, creata appositamente per poter scambiare denaro, titoli immobiliari, commesse di vendita e acquisto fra mercanti e tutto ciò che ruotava intorno alla nascente finanza ed economia.

In rapida successione, nei 2 secoli successivi, le borse ebbero modo di fiorire un po’ dappertutto, in special modo sotto la spinta del maggior difetto umano che si chiama “avidità”, e grazie al fatto che alcune famiglie benestanti, dai nomi che segneranno i successivi secoli fino ai giorni nostri – Rothschild e Rockefeller – intravidero in questa nuova attività la possibilità non solo di arricchire sè stessi e le proprie famiglie, come poi fu, ma anche la possibilità di acquisire sempre maggior potere attraverso il maneggio del denaro, in quanto, in modo molto lungimirante – bisogna dargliene atto – avevano capito prima di altri che il “denaro” era la chiave di volta per la conquista del potere, ovunque sul pianeta.

Un mero strumento di controllo e potere

Ed è proprio in questi anni, a fine del 1700, che si innesca quasi automaticamente e soprattutto a insaputa della maggior parte della popolazione, il vero motivo per cui ancora oggi il denaro ha assunto una funzione completamente differente rispetto a quella per la quale era nato 2000 anni prima: la conquista e il mantenimento del potere sugli altri nel tempo.

Durante tutto il diciannovesimo secolo e nel successivo ventesimo secolo, i principali artefici di questa perversione sul denaro – ai summenzionati nomi se ne sono aggiunti altri di simile estrazione, come ad esempio Morgan e Stanley, fondatori della omonima Morgan Stanley Bank – hanno affinato le loro capacità imprenditoriali e, soprattutto, di controllo politico e sociale, diventando alla fine i veri controllori di tutto ciò che succede a livello mondiale, sotto il profilo economico-finanziario di sicuro e, con molta probabilità, anche nel campo della politica e del potere assoluto (su questo argomento ci sono decine e decine di teorie denominate per lo più come “complotti”, ma che in realtà non fanno altro che cercare di mettere in guardia le popolazioni circa queste “manovre” da parte di pochi), arrivando, ai giorni nostri, a rappresentare il classico ago nelle bilance mondiali.

Senza voler qui esaminare approfonditamente le ragioni degli uni sugli altri – non voglio assolutamente essere io quello che decide se hanno ragione i primi o se hanno ragione quelli che vengono indicati come complottisti, e lascio al giudizio del lettore la decisione – vorrei solamente sottolineare come l’economia, detenuta per intero da pochi, possa di fatto influenzare pesantemente le scelte e, soprattutto, gli avvenimenti della vita su questo pianeta.

A titolo di esempio, basti pensare quale sia stato il peso deterministico della famiglia Rothschild fin dalle guerre napoleoniche, influenzando poi tutto il 1800 e soprattutto il 1900 con la sovvenzione degli stati che hanno scatenato le due guerre mondiali.

Perché è del tutto chiaro, almeno nei secoli scorsi, che nessun governante avrebbe mai potuto nemmeno pensare di iniziare una qualsiasi guerra senza l’appoggio fondamentale della finanza e delle banche, che per prime detenevano il controllo totale dell’intera economia mondiale, anche perché è veramente difficile pensare di non pagare sia i soldati che le materie prime che servono per fare una guerra, a partire dalle munizioni, le armi, i carburanti, i cannoni e le infrastrutture necessarie alla conduzione di una guerra vittoriosa.

È importante capire che non si vuole sostenere il fatto che “a tavolino” determinate persone abbiano pianificato scientificamente l’intero andamento di tutto ciò che oggi noi conosciamo, ma semplicemente hanno elaborato fra di loro determinate linee guida, formulando dei concetti di massima, sulla base dei quali poi hanno dato le loro disposizioni operative – essendo a capo dei maggiori gruppi bancari mondiali e delle principali “big Company” lo potevano fare con molta facilità – con le quali, alla fine, la loro “creatura” ha iniziato a camminare con le proprie gambe, andando nella direzione desiderata dai loro creatori.

Ed è per questo che, fra le altre cose, è stato creato un organo di controllo molto attento acché la loro Idra dalle cento teste continuasse a percorrere il cammino indicato e voluto da quel simpatico professore, al secolo Klaus Schwab, che ha fondato nel 1971 a Davos il famigerato WEF, ovvero il World Economic Forum, attraverso il quale i “grandi” dell’economia mondiale possono monitorare tranquillamente l’andamento di quanto da loro stessi creato nei secoli precedenti.

Ed è del tutto sbagliato pensare che alla morte dei precursori iniziali, i discendenti non prendano in mano le redini degli imperi creati e non seguano pedissequamente le orme dei loro padri, anche perché, molto evidentemente, un figlio, prima di succedere al padre, ha tutto il tempo di essere adeguatamente “istruito” dal genitore e guidato nel compito che poi dovrà assolvere una volta scomparsi i propri genitori.

Gli “effetti collaterali” ad oggi

Ciò che realmente voglio sottolineare con questo articolo, dopo aver illustrato il quadro generale di contorno all’interno del quale si muove l’intera economia e finanza mondiale, non sono tanto le vicissitudini o le colpe degli uni o degli altri ma quanto sia pericoloso il momento che stiamo vivendo per gli “effetti collaterali” determinati da due secoli di controllo totale del denaro da parte di pochi.

Per poter far maggiormente comprendere a quali pericoli stiamo andando incontro, più o meno consapevolmente – per dire la verità, pochi sono coscienti dell’effettivo utilizzo del denaro ai giorni nostri e di quale sia il suo vero scopo – vorrei illustrare dettagliatamente quanto realmente siamo bisognosi di un tale sistema di scambio.

Infatti, se da una parte, nei secoli passati e fino agli inizi del secolo scorso, il denaro ha veramente svolto il suo compito principale, ovvero di essere utilizzato come rapido mezzo per effettuare gli scambi, dalla fine della prima guerra mondiale si è potuto osservare un graduale passaggio di “utilizzo” da parte dei summenzionati personaggi, da mero strumento di scambio e commercializzazione, quindi utile alla società intera, a un sistema camuffato di controllo generale.

Fin dalla grande crisi del ’29, con il relativo crollo della borsa americana, che si trascinò dietro praticamente l’intero sistema finanziario mondiale, si sono avute le avvisaglie che qualcosa stesse cambiando drasticamente nel rapporto denaro/società. Chi di dovere vide in questo la possibilità di raggiungere un controllo totale dell’umanità, non più attraverso le ormai desuete guerre o prese di potere, ma più tranquillamente mediante il sistematico controllo sotterraneo dell’economia globale, alla stessa stregua del classico burattinaio che, non visto, comanda i burattini con i fili nascosti.

E comprendere questo è assai semplice, se si immagina la facile equazione seguente: se prima il lavoro serviva per poter avere a disposizione del denaro con il quale soddisfare le proprie necessità, vivere al meglio, costruire delle imprese e migliorare la propria vita e anche quella dei propri vicini, oggi vediamo come tutto si sia capovolto e il lavoro massacrante al quale ci dedichiamo – molto spesso senza soddisfazione – serve per racimolare quel poco denaro che purtroppo non ci basta mai nemmeno per sopravvivere decentemente.

E tutto questo a causa delle perverse “leggi” che regolano quella che si chiama finanza ed economia di un paese, per le quali è assolutamente necessario che le persone non siano mai in grado di poter veramente stare bene ed essere del tutto autosufficienti. Altrimenti, non avrebbero più bisogno di seguire con la bava alla bocca le vicissitudini politiche di poche persone che decidono in vece loro.

Lo stivale sulla testa delle popolazioni

Provate ad immaginare un paese/stato dove tutti quanti, indistintamente, riescono a percepire un compenso tale da soddisfare i propri bisogni e i propri desideri senza doversi ammazzare di lavoro e, soprattutto, dove nessuno debba soffrire la fame o l’onta di doversi rivolgere a degli enti di carità per poter sopravvivere. E domandatevi se un popolo simile avrebbe la necessità di ascoltare più di tanto o interessarsi attivamente alla politica in generale.

È del tutto ovvio che una società sempre scontenta, per un verso o per l’altro, e sempre alla ricerca di un colpevole sul quale scaricare la propria rabbia e frustrazione per il cattivo andamento della propria vita – causato dalla mancanza del Dio denaro – sarà molto più facilmente “plasmabile” dal capo di turno e guidabile nella direzione voluta.

Ma di queste cose si sono già occupati in tanti, magari errando nelle proprie conclusioni o esagerando ora un aspetto e ora l’altro, a partire dal quel signore barbuto che si chiamava Karl Marx. Con il suo “Il Capitale” cercò, per qualche verso, di mettere in guardia l’intera società di allora dagli effetti devastanti che il capitalismo avrebbe potuto portare a tutti quanti.

Come personalmente ritengo, nonostante all’interno dei suoi scritti ci siano delle cose abbastanza condivisibili, con molta probabilità la maggior parte delle cose sostenute dallo scrittore sono troppo infarcite di ideologia politica e troppo unidirezionali per poter avere una validità realmente attuabile, sia allora che oggi.

Ma tralasciando il signor Marx, che non è oggetto di discussione in questo articolo, vorrei tornare al discorso principale facendo un esempio che ritengo sia assolutamente esaustivo al fine di spiegare quanto ho in mente nel momento.

La domanda che bisogna porsi è: se io avessi un lavoro che mi piace e che mi frutta il guadagno necessario a far vivere degnamente me stesso e la mia famiglia e che, inoltre, mi permette anche di dedicarmi alla costruzione e alla realizzazione di un qualche mio sogno, avrei veramente bisogno di protestare verso il mio prossimo o di “scendere in piazza” contro un qualsiasi governo per sostenere le mie richieste, qualunque esse siano? O piuttosto continuerei la mia vita normalmente fregandomene, più o meno, di quanto viene fatto da altri?

Oggi potremmo farne a meno

E sulla base di questo, già diversi anni fa, ipotizzai quanto segue: oggi, la tecnologia, con i passi da gigante che ha fatto, potrebbe permetterci di avere tutte le strumentazioni necessarie per espletare la maggior parte delle esigenze che ci si presentano quotidianamente, lasciandoci, nel contempo, tutto il tempo necessario per dedicarci o al nostro lavoro o alle nostre passioni.

Per fare un esempio, in una casa ultramoderna e tecnologica potremmo avere un frigorifero che, sostituendosi a noi, “ordina” online le vivande che sono finite e, nel contempo, si sbarazza di quelle scadute. Avremo delle lavastoviglie e delle lavatrici completamente automatizzate che provvederebbero a lavare, stirare e ripiegare i nostri vestiti. Esisterebbero degli aspirapolvere robotizzati che ci terrebbero la casa completamente pulita e il giardino perfettamente rasato ed in ordine – a meno che non sia un nostro piacere dedicarsi a queste incombenze personalmente – e negli altri settori avremo automobili che, nel prossimo immediato futuro, potranno guidare da sole, dei robot che si incaricheranno di fare tutto ciò che noi non riteniamo di nostro gradimento e via discorrendo.

Per cui si può ben vedere che, al giorno d’oggi, raggiungere uno status nel quale poterci dedicare solo ed esclusivamente a quello che ci rende felici e appagati, è un obiettivo veramente alla portata e, soprattutto, non ha una necessità così stringente del citato denaro che, nel passato, l’ha fatta da padrone. O, meglio, non dovrebbe aver la necessità…

E qui arriva il vero problema, che ci ricollega a quanto detto poco sopra a proposito della convenienza degli organi al comando di fare in modo che le cose restino così a tempo indefinito, poiché se veramente avessero a cuore il benessere altrui e della società in generale, dovrebbero lavorare alacremente al fine di raggiungere la condizione illustrata nel paragrafo precedente, ma, non facendolo, è del tutto ovvio che il loro interesse sia diametralmente opposto.

L’ingiustizia delle tasse e del debito

E come detto precedentemente, arriviamo al discorso “tasse” che così tante discussioni e combattimenti ha e sta suscitando nel mondo intero. Come visto in precedenza, le tasse fin dai tempi dell’impero Egizio rappresentavano l’apporto attivo della popolazione nella gestione comune dei beni di pubblica utilità o, per meglio dirlo alla maniera greca, servivano per far funzionare la macchina della “Res Pubblicae” o con l’apporto di denaro/merci o con il conferimento del proprio lavoro in beneficio della collettività tutta.

Ma in un periodo come il nostro, dove la tecnologia sviluppata nei secoli ha preso o sta prendendo il sopravvento, scaricandoci di una mole di lavoro non indifferente (basti pensare che un tempo, per costruire un ponte su un fiume ci volevano anni e che qualche anno fa i cinesi ne costruirono uno in 40 giorni), tale conferimento di denaro o di prestazioni lavorative non si rende più necessario.

Inoltre, per i meccanismi intrinsechi alla finanza, bisogna considerare anche che se uno stato come il nostro emette moneta a costo vicino allo zero – solo il costo puro del materiale e del personale addetto – non c’è alcun motivo per il quale lo stesso stato debba tornare dai suoi cittadini a chiedergli indietro parte di quel denaro per poter far fronte alle spese di gestione della “cosa pubblica”: ne stampa dell’altro e il gioco è fatto.

Sembra una battuta, ma provate a rifletterci seriamente. Se il governo Italiano, quando ancora era uno stato sovrano ed emetteva regolarmente la sua moneta, stampava, come detto, 100 o 1000 miliardi – per esempio – e poi li distribuiva al mercato – noi – per quale assurdo motivo doveva poi tornare dai suoi cittadini dicendogli “sai che c’è di nuovo, mi dovresti ridare il 40% dei soldi che ti ho dato, che mi servono per pagarti le pensioni, la sanità, le strade, le scuole, ecc”?

Poteva stampare altro denaro e sopperire alle necessità di cui sopra, o no? Tanti mi obiettano che la finanza globale non funziona così, ma io gli controbatto che, nel momento in cui abbiamo un paese assolutamente solido, con la maggior quantità di eccellenze a livello mondiale, sapendo che il popolo Italiano è sempre stato il primo per qualità e quantità di lavoro sviluppato nonché di idee, che il nostro paese vanta la maggior concentrazione di bellezze paesaggistiche e di tesori architettonici e storici, per quale motivo noi dovremo preoccuparci delle perversioni della finanza globale?

Parimenti, è del tutto ovvio che avendo ceduto la nostra sovranità monetaria – grazie alle lungimiranti imbecillità di persone come Prodi, Amato e Ciampi – oggi i nostri governanti sono realmente costretti a chiedere le tasse alla cittadinanza, in quanto i soldi che ci servono per far funzionare l’intero paese siamo costretti ad andarli a chiedere in prestito alla famigerata BCE e all’intera Comunità Europea, diventando, in questo caso, certamente dei debitori e, quindi, in poche parole, riducendoci a dei cagnolini tenuti ad un guinzaglio corto.

E come questo fatto non sia chiaro a tutti mi lascia veramente sorpreso al di là di ogni comprensione. Già è successo agli inizi degli anni 90, quando fummo costretti ad uscire dallo SME – simile all’Europa di oggi – e tutti i grandi vaticinatori del momento gridarono all’imminente default dello stato Italiano, vittima della propria dabbenaggine e delle mosse sbagliate della sua finanza, ma invece nulla accadde.

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