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Il caso di Alessia Pifferi. Si può evitare che una madre diventi un’assassina?

una bambola in carrozzina

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In questi giorni i riflettori mediatici sono tutti puntati sul delitto della piccola Diana, la bimba di 18 mesi morta di stenti dopo essere stata lasciata a casa da sola per diversi giorni. Unica imputata per il reato è la madre, Alessia Pifferi, 37enne, originaria di Crotone e residente nel capoluogo milanese. La donna è incriminata per omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla premeditazione. Non si può negare che il capo d’accusa è bello pesante, tanto che la difesa, per alleggerirlo come ogni buon difensore fa, ha richiesto una perizia per stabilire le reali condizioni psichiche della propria assistita.

L’esito della perizia ha stabilito che la donna ha “un quoziente intellettivo di livello medio”.

Interrogatorio dell’imputata Alessia Pifferi

Dai principali talk show pomeridiani, ho avuto modo di ascoltare degli stralci dell’interrogatorio che ha avuto come protagonista la Pifferi.

Sono rimasta attonita dalle risposte che la donna ha dato al Pubblico Ministero. Alessia Pifferi ha dichiarato di non sapere chi fosse il padre di Diana.

Questo potrebbe rientrare nella normalità, visto che ha avuto diversi partner, ma quello che più mi ha fatto riflettere sulle condizioni mentali dell’incriminata è il seguito, vale a dire: “Le chiedo gentilmente di non sgridarmi”, rivolta al PM. “Io pensavo che il latte nel biberon che le avevo lasciato in casa bastasse”. La donna si riferisce all’unico biberon lasciato alla figlia di 18 mesi, la quale dalla sua culla avrebbe dovuto badare alla sua sussistenza per circa una settimana… Mah!

E ancora più sconcertante, per me, è stato ascoltare la dichiarazione di inconsapevolezza della gravidanza. Sempre al pubblico ministero, Francesco De Tommasi, ha detto: “Non sapevo di essere incinta, pensavo che i dolori al ventre fossero dovuti al nervo sciatico infiammato. Ho partorito in modo spontaneo nel bagno dell’appartamento del mio compagno, a Leffe”.

Ascoltando la Pifferi mi sono posta alcune domande: “Era in grado di prendersi cura di una creatura così piccola?” Nel senso più stretto “era idonea a svolgere il ruolo di madre?” Ho avuto la sensazione che per lei la bimba rappresentasse l’idealizzazione di una bella bambola.

Tengo a sottolineare: è solo una mia suggestione, verosimilmente distorta dalla mia stessa percezione.

Come evitare che una madre divenga un’assassina?

Mi sono anche chiesta se in qualche modo si può evitare che una madre diventi un’assassina.

Questa domanda acquista una valenza universale, non è rivolta solo ad Alessia Pifferi: se è vero che i copioni si ripetono, è vero anche che i protagonisti sono diversi per personalità, problematiche socio-culturali, psichiche, economiche.

Probabilmente, una risposta univoca sarebbe azzardata.

Conclusioni

Credo che nella nostra bella Italia il disagio psicologico, come molte altre forme di situazioni disagiate, vengano sottovalutate. Sicuramente, avere una famiglia amorevole alle spalle che monitori costantemente le condizioni della persona interessata è di grande aiuto, ma non basta.

In determinate circostanze si rende necessario l’intervento di uno specialista affinché, con una diagnosi e un trattamento adeguati alla gravità della sintomatologia, si possa arrivare a curare la madre e al contempo mettere in salvo la vita della sua creatura.

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