Di questi giorni il clamoroso annuncio che riguarda la richiesta di revisione del processo della coppia condannata all’ergastolo per la strage di Erba.
La notizia è stata riportata dalle principali testate giornalistiche e notiziari televisivi. Tornano sotto i riflettori mediatici i coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati entrambi a scontare la pena dell’ergastolo in due istituti penitenziari differenti: Rosa è detenuta nella prigione di Bollate, nel Milanese, mentre suo marito Olindo è rinchiuso nel carcere di Opera.
Entrambi sono accusati di essere i responsabili di uno dei delitti più efferati e complessi degli ultimi anni.
Cosa accadde
La mattanza ha luogo l’11 dicembre 2006; a prestare i primi soccorsi è un volontario dei vigili del fuoco, allertato da un vicino della presenza di fumo che esce da una delle finestre della palazzina del Ghiaccio.
Gli uomini si recano sul posto, subito comprendono che l’origine dell’incendio è all’interno di un appartamento del primo piano, la cui proprietaria è Raffaella Castagna.
Già sul pianerottolo, il volontario dei vigili del fuoco trova un corpo riverso sul freddo pavimento, a faccia in giù e ricoperto di sangue.
È, però, all’interno dell’abitazione che il soccorritore fa una macabra scoperta, altri corpi giacciono senza vita.
https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Erba
I responsabili hanno compiuto una strage di una tale brutalità inconcepibile, forse, anche per le più brillanti penne di romanzi horror.
Adesso si torna a parlare di un’istanza di revisione del processo.
Fa parte del corretto iter della giustizia accertarsi che nessun innocente continui ad essere un detenuto, quindi, privato iniquamente della sua libertà. È sacrosanto diritto degli imputati chiedere, tramite il loro legale, la revisione del processo e sottoporre al vaglio nuove testimonianze e/o elementi scientifici.
I possibili risvolti sulla psiche dei sopravvissuti
In questo clamore mediatico, però, quale ruolo giocano i sentimenti dei familiari delle vittime e, in particolare, del signor Mario Frigerio, unico sopravvissuto allo sterminio? Domanda non di poco conto, se consideriamo i risvolti psicologici dell’intera e drammatica vicenda.
La scomparsa di un familiare, causata da una brutale carneficina, rappresenta un evento traumatico, in grado di provocare un elevato indice di logoramento, dovuto tanto allo shock quanto alla perdita in sé, con possibili gravi conseguenze sulla salute psichica, ma anche sulla qualità della vita in generale.
Emily Dickinson ha scritto “A un cuore in pezzi nessuno si avvicini senza l’alto privilegio di avere sofferto altrettanto”, dunque, se provo a mettermi nei panni dei familiari delle vittime della strage di Erba e del sopravvissuto Frigerio, beh, non posso che provare dolore e rabbia al contempo.
Per loro significa rivivere la sofferenza, richiamare alla memoria scene terribili che, probabilmente, da 17 anni tentano di non far passare più davanti ai propri occhi, anche se, verosimilmente, faranno uno sforzo arduo.
Coloro che restano, si riappropriano di una sorta di normalità quotidiana ma, si sa, nulla ritorna come prima.
L’anello della vita ha subito un’estesa fenditura, si può saldare la ferita corporale, ma quella spirituale, sovente, torna a sanguinare, perché non esistono ancora suture in grado di arginare il prorompente fluire dei sentimenti dell’animo umano.