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Disabilità e apprendimento linguistico

bambino con sindrome di down

Tabella dei contenuti

Prima di entrare nel vivo dell’argomento credo sia necessario spiegare il concetto di disabilità e, per farlo al meglio, mi avvalgo della definizione che viene data dall’autorevole enciclopedia Treccani:

Condizione di coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri. Tale definizione si basa sulla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (2006), ratificata dall’Italia con la l. 18/2009. Diversi modelli di d. sono stati definiti nel passato. Il modello medico, a lungo predominante, si concentra sulla menomazione dell’individuo, mentre quello sociale sottolinea le difficoltà legate all’ambiente (fisico e sociale) e derivanti da pregiudizi o restrizioni nelle opportunità scolastiche e lavorative”.

https://www.treccani.it/enciclopedia/disabilita_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

Uno dei tanti miti da sfatare sul bilinguismo è quello che in bambini con disabilità parlare due lingue non crea alcun tipo di ritardo nell’apprendimento del linguaggio. Ad esempio, alcune famiglie con bambini affetti da sindrome Down decidono di crescere i propri figli in un ambiente monolingue, senza esporli all’apprendimento di una seconda lingua per timore di aggravare il loro ritardo linguistico.

Che cosa si intende con sindrome Down?

Per non deviare il lettore e volendo fornirgli una corretta spiegazione, ancora una volta, faccio riferimento alla definizione accreditata dalla Treccani: “Anomalia di origine cromosomica che presenta caratteristiche fenotipiche riconducibili a un quadro clinico abbastanza tipico, descritto per la prima volta dal medico inglese J.L.H. Down (1828-1896). La sindrome è dovuta alla presenza, nel corredo cromosomico di tutte le cellule, di un cromosoma soprannumerario della coppia 21 (trisomia 21). Gli individui affetti da questa sindrome presentano ritardi di sviluppo psichico e fisico, spesso associati a difetti cardiaci congeniti e malformazioni intestinali. Caratteristiche sono le pliche palpebrali oblique, che richiamano quelle di alcune popolazioni orientali”.

https://www.treccani.it/enciclopedia/sindrome-di-down

I bambini con sindrome Down presentano difficoltà di apprendimento e di linguaggio, e queste loro problematicità portano alla conclusione che comunicare in due lingue risulterebbe troppo difficile generando in loro confusione.

In realtà allevare i bimbi con sindrome Down in un contesto bilingue non li mette in una situazione di svantaggio e non causa alcun ritardo nell’acquisizione del linguaggio, e lo studio condotto dalla Bangor University conferma che questi bambini non hanno nessun problema con il bilinguismo.

Le ricerche compiute sul bilinguismo e sindrome Down

La ricerca è stata effettuata su un campione di 32 bambini Down, 14 dei quali bilingui gallese-inglese, mentre i restanti 18 parlano solo inglese. I ricercatori hanno osservato come il livello di sviluppo della lingua inglese in tutti e 32 i bambini fosse identico: i bimbi allevati in un contesto bilingue non presentavano nessun ritardo rispetto a quelli cresciuti in un contesto monolingue.

Rebecca Ward, la dottoranda che ha portato avanti questo studio, ha dichiarato che è la prima ricerca di questo tipo nel Regno Unito, e che potrebbe essere pertinente per altre lingue. La ricercatrice ha inoltre affermato che: “Generalmente i bambini con la sindrome di Down tendono ad avere difficoltà con il linguaggio, quindi questo sembra aver portato alla convinzione che parlare due lingue sia troppo difficile o possa causare confusione o causare ulteriori ritardi nella lingua”. “Quello che stiamo scoprendo è che i bambini che sono bilingui con la sindrome di Down non sono affatto svantaggiati dall’essere esposti a una seconda lingua”.

“Questo progetto di ricerca su piccola scala si spera possa gettare nuova luce su quali siano le esperienze delle famiglie e dare incoraggiamento agli altri a perseguire il bilinguismo, se questa è la loro preferenza”.

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