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“Perché Sanremo è Sanremo”, “Perché Pasolini è Pasolini”

Pasolini Sanremo

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Sono giorni, ormai, che l’attenzione mediatica è incentrata sulla kermesse Sanremese. Quanto parlare intorno a questo evento canoro, che vanta un giro d’affari stratosferico.

Insomma, l’arcinota e super chiacchierata manifestazione musicale permette di fare cassa, e che cassa!

Questo gran parlare e sparlare di Sanremo ha solleticato la mia curiosità, e mi sono chiesta: “ׂÈ sempre piaciuto, in generale a tutti, e in particolare agli intellettuali?”.

Dalle ricerche che ho fatto, la risposta è negativa. In passato sono stati proprio i pezzi da novanta della letteratura che hanno usato toni fortemente critici contro la più famosa gara canora nostrana.

Da estimatrice e appassionata di Pier Paolo Pasolini, vi propongo un articolo – perché è anche stato un acuto giornalista – pubblicato sulla rubrica da lui curata, “Il Caos”; da notare come il nome abbia in sé il significato dell’operato e della personalità dell’autore.

È cominciato ed è finito il festival di Sanremo. Le città erano deserte; tutti gli italiani erano raccolti intorno ai loro televisori. Il Festival di Sanremo e le sue canzonette sono qualcosa che deturpa irrimediabilmente una società. Quest’anno, poi, le cose sono andate ancora peggio del solito: perché c’è stata una contestazione, seppur, appena accennata, al Festival. Ciò che si contesta sono, infatti, i prezzi dei biglietti per ascoltare quelle povere creature che cantano quelle povere idiozie: e si protesta moralisticamente contro il privilegio di chi può pagare il prezzo di quei biglietti. Non ci si rende conto che tutti i sessanta milioni di italiani, ormai, se potessero godere di questo famoso privilegio, pagherebbero il prezzo di quel biglietto e andrebbero ad assistere in carne e ossa allo spettacolo di Sanremo.

Non è questione di essere in pochi a poter pagare quelle miserabili ventimila lire, ma è questione che tutti, se potessero, pagherebbero. Tutti, gli operai, studenti, ricchi, poveri, industriali, braccianti…

I centomila disgraziati che si tappano le orecchie e si coprono gli occhi davanti a questa matta bestialità, sono abitanti di un ghetto che si guardano allibiti fra loro, senza speranza. E i più non osano nemmeno parlarne: perché parlarne, sinceramente, fino in fondo, fino all’indignazione, è impopolare come niente altro. È per non rischiare questa impopolarità, che i contestatori, in questo caso, sono tanto discreti. Ma è un calcolo sbagliato, che li rende degni degli “innocenti” cantanti integrati e del loro pubblico”.

Che pezzo! Solamente una mente come quella di Pasolini, scevra da ogni sorta di condizionamenti, poteva permettersi il lusso di fotografare la realtà nuda e cruda, e, poi, darla in pasto all’opinione pubblica.

Unicamente una questione di ventimila lire? Certo che no! Puro realismo pasoliniano: questo osservo della mia società, uno stereotipo che si perpetua di anno in anno, festival dopo festival.

Dal tono categorico e spietato, l’articolo riflette lo stile di scrittura di un giornalista che vuole rendere un servizio pubblico a tutto tondo, peccato incompreso. Va’ a capire i geni! Dopo, a distanza di anni, se non di secoli, si riconosce il loro talento. Le riflessioni di Pasolini, pungenti e lucidissime, ci mettono ogni volta, dinanzi alle nostre incertezze nel rapporto con la vita, la società, il sapere nelle sue variegate forme.

Se Pasolini fosse ancora in vita, chissà che articolo avrebbe buttato giù sull’attuale costo dei biglietti, che varia in base alla serata: nelle prime quattro, da martedì 6 a venerdì 9 febbraio, ilprezzo di un bigliettoè di 110 euro in galleria e 200 euro in platea.

Il costo dei biglietti per la finalesale sensibilmente, e si sa, per vedere il vincitore del Festival di Sanremo 2024direttamente dall’Ariston, qualcosina in più la si deve sborsare, ovvero, 360 euro per la galleria e 730 euro per la platea. In altre parole, in tempo di profonda crisi economica, dove si fa fatica a far quadrare i conti in casa, ci si gioca lo stipendio per l’acquisto di un solo biglietto. In fondo è questo il “famoso privilegio” ampiamente spiegato nell’articolo.

Verosimilmente, Pasolini, se fosse ancora di questo pianeta, ne avrebbe pure da scrivere sui partecipanti, gli intervalli a mo’ di teatrini, gli ospiti, le canzonette e compagnia cantando, giusto per usare una locuzione dal sapore ironicamente musicale. Suggestioni personali della scrivente? Può darsi!

Approfondimenti:

-Pier Paolo Pasolini, rubrica “Il Caos” su “Il Tempo”, n. 7, 15 febbraio 1969

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