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Stalin. Ha perso, anche se ha vinto
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Il fallimento della globalizzazione

uno specchio sferico riflette una strada cittadina

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Non penso realmente che dietro alla “globalizzazione” ci sia un preciso disegno o piano di qualche associazione segreta o di qualche mente oscura, ma che sia fondamentalmente un processo che è iniziato ormai oltre 50 anni fa, in modo del tutto naturale e, sopratutto, senza delle regolamentazioni che ne guidassero lo sviluppo graduale e senza troppi scossoni.

Che poi, in seguito, qualche gruppo di controllo abbia ben pensato di “cavalcare” tale fenomeno per i propri tornaconti e per, in sostanza, creare il sistema di controllo perfetto, è assolutamente plausibile e, a mio modesto avviso, è proprio successo, vedendo gli effetti catastrofici di questi ultimi tempi.

Ma per comprendere a pieno quello che è stato e quello che sta succedendo oggi, bisogna fare un passo indietro e cercare di capire cosa sia realmente la “globalizzazione”.

In seguito alla catastrofe della seconda guerra mondiale che, bene o male, ha disastrato in diversa misura praticamente tutti gli stati del mondo o, per lo meno, la maggior parte di quegli stati che si potevano definire “industrializzati” e avanzati tecnologicamente, l’umanità ha sentito l’impellente necessità di tornare alla pace, di ricostruire ciò che era stato distrutto e, sopratutto, di allargare i propri orizzonti commerciali, coinvolgendo, in questo naturale impulso, ogni angolo del nostro mondo.

Ed è ben comprensibile questa smania di interagire fra stati, poiché, reduci dalle distruzioni, non tutti potevano avere a disposizione né le materie prime, né le tecnologie necessarie per la ricostruzione, in primis, e, successivamente, per lo sviluppo del proprio paese.

Un classico esempio di tutto ciò lo si ha in quello che fu chiamato “piano Marshall”, derivante dal nome del segretario di Stato americano George Marshall, che lo aveva ideato, e che consisteva nell’erogazione di oltre 13 miliardi di dollari (dell’epoca) per la ricostruzione dell’Europa dalla distruzione del secondo conflitto mondiale.

È del tutto chiaro che un’operazione avrebbe dovuto essere messa in piedi, in quanto l’area maggiormente disastrata e dove, in pratica, si era concentrata la massima distruzione, riguardava proprio l’Europa e, se si eccettua il Giappone, che tutto sommato non ha mai patito dei danni anche lontanamente paragonabili a quanti ne sono stati fatti nel vecchio continente, nessuna altra nazione sui 3 continenti restanti – Sud America, Africa, Asia ed Australia – ebbe a sopportare distruzioni simili alle nostre.

Di conseguenza, con la interconnessione costante fra Stati Uniti ed Europa, è del tutto chiaro che i rapporti hanno finito per intensificarsi sempre di più, di pari passo anche con l’avanzamento delle tecnologie.

In rapida successione, nei decenni seguenti, a questo processo hanno iniziato ad aggiungersi anche tutte quelle potenze che erano sostanzialmente rimaste fuori “dai giochi”, per così dire, come Cina, India, Pakistan e tutto il continente Africano (anche se per questa specifica area della Terra bisognerebbe fare un discorso a parte, vista la costante predazione perpetrata dalle maggiori potenze mondiali ai danni proprio del continente), dando di fatto inizio a quella che, oggi, noi chiamiamo “globalizzazione”.

E fino a qui, tutto sommato, le cose avrebbero potuto anche essere giuste e sagge, in un’ottica di “collaborazione globale”, che non poteva che fare bene all’intera umanità, permettendo anche a quegli stati che non potevano avere determinate materie prime di accedervi tranquillamente.

Se non ché, le cose hanno iniziato a sfuggire di mano a tutti quanti, grazie anche alle azioni di gruppi finanziari che hanno costantemente spinto verso un’esasperazione del concetto di globalizzazione solo per perseguire i propri interessi, fino a che si è creato un mastodontico sistema, completamente distaccato da quelli che potevano e dovevano essere gli interessi reali di tutti i paesi.

In aggiunta a tutto ciò, negli ultimi 20 o 30 anni abbiamo assistito ad un’accelerazione della tecnologia a dir poco eccezionale, che ha contribuito in modo esponenziale all’esasperazione della globalizzazione stessa, purtroppo con effetti devastanti per l’intera economia mondiale e, in definitiva, per la sicurezza ed autonomia di tutte le nazioni coinvolte.

E la dimostrazione di quanto questo “meccanismo” del tutto naturale (forse) sia andato in tutt’altra direzione e sia diventato quello che si può tranquillamente definire “il nemico” da combattere, ce l’abbiamo sotto gli occhi proprio in questi mesi con la crisi energetica che sta devastando l’intero mondo.

In nome della globalizzazione, tutti gli stati hanno gradatamente dismesso i propri piani industriali per la ricerca e lo sviluppo delle tecnologie energetiche, dicendo, sostanzialmente: “tanto il gas lo prendiamo dalla Russia o dall’Algeria” diventando, di fatto, dipendenti dallo stato di salute degli stati fornitori.

È bastato che si innescasse un conflitto (del tutto previsto e prevedibile, dopo 80 anni di sostanziale pace) nel mezzo dell’Europa, per cui tutti i limiti e i difetti di questa “globalizzazione selvaggia” venissero a galla, con degli effetti a medio e lungo termine che dovremo ancora vedere, ma che, sicuramente, a mio modesto avviso, saranno devastanti per l’intera economia mondiale.

E non parliamo solo di energia, alla carenza della quale, tutto sommato, nell’arco di un paio di anni o al massimo 3, si potrebbe porre rimedio – sempre che si abbia una classe politica e dirigente all’altezza della situazione – con l’implementazione delle trivellazioni, con l’energia nucleare e anche con il potenziamento di tutte quelle che si chiamano energie rinnovabili.

Infatti, dal 2020 stiamo attraversando una delle peggiori crisi per quanto riguarda i semiconduttori elettronici, che sono alla base della costruzione dei chip integrati in ogni tipo di hardware che utilizziamo tutti i giorni, dovuta ad una serie di problematiche (siccità estrema a Taiwan, che utilizza delle quantità stratosferiche di acqua pulita per la pulizia delle fabbriche che li costruiscono, guerra economica finanziaria fra Cina e U.S.A.) che si sono innescate per i più svariati motivi, ma che, in definitiva, fanno sempre capo alle posizioni di forza di un paese verso l’altro.

E qui il discorso sarebbe veramente lungo e complesso, ma come sempre io cerco di individuare quelle che possono essere le soluzioni per il nostro paese, poiché andare a cercare le soluzioni per il “mondo intero” penso che sia una cosa assolutamente utopica.

E sulla base di quanto detto, ritengo che la strada da percorrere da parte dell’Italia per riuscire a “trarsi d’impaccio” dovrebbe essete quella del raggiungimento della massima autonomia possibile, nella maggior parte dei settori economico-finanziari-commerciali, di modo che, alla fine del processo, si possa tranquillamente osservare tutti gli altri che si scannano per un po’ di petrolio, piuttosto che per i microchip.

E questo va tenuto in seria considerazione, in quanto fino a quando si tratta di gas o petrolio o componenti elettronici, ci possiamo disperare e stracciare le vesti quanto ci pare, ma la vita continuerà lo stesso, mentre, al contrario, se un domani – molto presto penso – il problema dovesse iniziare a coinvolgere anche i generi di prima necessità, come il grano e le farine che si producono dallo stesso, i problemi potrebbero essere realmente più gravi, in quanto se non abbiamo il gas per scaldarci possiamo rimediare alternativamente, vestendoci di più, ma se non abbiamo il pane, la verdura e la carne per mangiare, semplicemente moriamo di fame.

In conclusione, la globalizzazione in sé stessa potrebbe essere una cosa del tutto benefica ed auspicabile, che porterebbe benefici a tutta l’umanità, ma solo se in questo meccanismo non ci si mescolassero le piccolezze dell’essere umano, con le sue vendette, avidità o smanie di potere.

Senza tema di esagerare, penso che l’umanità intera si stia trovando sull’orlo di una catastrofe realmente epocale e, per come è ormai strutturato il nostro sistema economico-sociale, ho la netta impressione che tutto ciò porterà ad un periodo di buio totale, al cui confronto il medioevo era una florida età dell’oro.

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