Forse avete sentito parlare delle isole di plastica che si stanno formando negli oceani di tutto il mondo.
Le isole di plastica sono il nostro nemico pubblico numero 1.
Sembra pazzesco, ma se nessuno farà nulla per ripulire fiumi, mari e soprattutto oceani dall’invasione della plastica, la vita come la conosciamo ha davanti a sé solamente circa 30 anni, al termine dei quali piante, animali ed esseri umani non avranno più aria respirabile a disposizione.
Però non preoccupatevi troppo, perché abbiamo studiato una soluzione, ma se non verrà messa in pratica avremo un gigantesco problema.
Adesso vi spiego come mai:
Senza entrare nel merito della trattazione scientifica, la cui disamina è evidentemente rivolta agli addetti ai lavori, ritengo opportuno dedicare questo mio intervento all’analisi strutturale del problema, affinché chiunque tra voi possa comprenderne l’attuale estensione e soprattutto lo sviluppo in proiezione futura.
Partiamo dal presupposto che:
Partiamo dal presupposto che il nostro pianeta ha una superficie complessiva di circa 510 milioni di km²; le terre emerse ne occupano il 29% ca., ovvero 149 milioni di km², e sono raggruppate principalmente nell’emisfero boreale, ovvero quello posto a nord dell’equatore, mentre mari e oceani occupano il restante 71% ca., per un totale di 362 milioni di km².
Ma in realtà non è esattamente così, dato che:
In Italia è consuetudine identificare solamente tre oceani: Oceano Pacifico, Oceano Atlantico e Oceano Indiano:
Oceano Pacifico, 179.000.000 km²
Oceano Atlantico, 120.060.000 km²
Oceano Indiano, 73.55.0000 km²
superficie complessiva: 372.610.000 km²
Mentre secondo la definizione del 1953 dell’Ufficio idrografico internazionale, vi è un unico oceano diviso in quattro bacini:
Oceano Pacifico, 179.000.000 km²
Oceano Atlantico, 106.000.000 km²
Oceano Indiano, 73.550.000 km²
Oceano Artico, 14.060.000 km²
superficie complessiva: 372.610.000 km²
Ma la National Geographic Society porta il numero degli oceani a cinque, includendo anche l’insieme dei mari che costeggiano l’Antartide, con il nome di Oceano Antartico:
Oceano Pacifico, 179000000 km²
Oceano Atlantico, 106000000 km²
Oceano Indiano, 73550000 km²
Oceano Antartico, 21960000 km²
Oceano Artico, 14060000 km²
superficie complessiva: 394.570.000 km²
Tutto chiaro fino a qui? Bene, proseguiamo.
Secondo quest’ultima misurazione le principali sette “isole di plastica”, che si stima totalizzino una superficie complessiva di ca. 16.000.000 km², grosso modo pari alla somma delle superfici di USA e CINA, poco meno dell’intera superficie della gigantesca Russia, rappresentano il 4% circa della superficie acquea complessiva.
Quanta plastica c’è negli oceani?
Nel 2015 si stimava che la plastica presente negli oceani fosse pari a circa 270 milioni di tonnellate, ed il conferimento della plastica dai fiumi ai mari fosse pari a 50 kg. al secondo, ovvero 50 kg/sec *60 sec *60 min *24 ore = 4.320.000 kg/gg *365 gg = 1.576.800.000 kg/anno.
Assumendo per veri questi valori nei prossimi 30 anni l’ammontare della plastica presente negli oceani aumenterebbe di altri 47,304 milioni di tonnellate, arrivando ad un totale di ca. 317 milioni.
Questo sarebbe abbastanza vero se le cose rimanessero come si stimava fossero nel 2015.
Peccato che già nel 2015 diversi ricercatori abbiano previsto che i numeri possano crescere esponenzialmente, addirittura decuplicando entro il 2025 (https://www.science.org/doi/10.1126/science.1260352), con un tasso di crescita del 10% annuo, ed in tal caso le cifre del conferimento annuo cambierebbero in questo modo:
2016: 1.576.800 * 1,1 = 1.734.480
2017: 1.734.480 * 1,1 = 1.907.928
2018: 1.907.928 * 1,1 = 2.098.721
2019: 2.098.721 * 1,1 = 2.308.593
2020: 2.308.593 * 1,1 = 2.539.453
2021: 2.539.453 * 1,1 = 2.793.397
2022: 2.793.397 * 1,1 = 3.072.737
2023: 3.072.737 * 1,1 = 3.380.011
2024: 3.380.011 * 1,1 = 3.718.012
2025: 3.718.012 * 1,1 = 4.089.813
il che significa che in 10 anni si passerebbe da un conferimento annuo di 1,576 milioni di tonnellate a 4,089 milioni, ovvero quasi il triplo.
Quindi in che misura aumenterà?
Se poi proseguissimo il calcolo potremmo verificare che, con lo stesso tasso di incremento (cosa che riterrei abbastanza improbabile, dato che sia per l’aumentare della popolazione mondiale che per l’aumentare della conseguente produzione di materie plastiche esso è in costante aumento), giungeremmo a 30 anni da oggi a un conferimento annuo superiore ai 36 milioni di tonnellate, e la sommatoria di tutti i conferimenti annuali farebbe sì che nel 2050 la plastica presente negli oceani raggiunga la straordinaria quantità di circa 700 milioni di tonnellate, coprenti una superficie di circa 42,5 milioni di km², pari a più del 10% della superficie acquea del pianeta.
Come impatta l’incremento demografico sul problema plastica?
Ciò che abbiamo appena letto è già di per sé sufficientemente impressionante, e lo diventa ancor di più se consideriamo l’incremento demografico: attualmente ogni anno nascono 140 milioni di persone e ne muoiono 60 milioni, per un aumento di circa 80 milioni di persone all’anno, il che, anche soltanto mantenendo tali livelli, ci porterebbe ad avere nel 2050 un totale di quasi dieci miliardi di persone viventi nel pianeta Terra, persone che, tra le altre cose, usano la plastica, respirano ossigeno e producono CO2.
Gli oceani hanno la capacità di fungere da termoregolatori, produrre ossigeno e fissare la CO2; finora gli oceani hanno assorbito circa il 30/35% della CO2 che produciamo ogni anno, ma l’aumento delle temperature, però, potrebbe ridurre questa capacità, come afferma una ricerca condotta dal progetto iAtlantic nel 2021.
La concentrazione di plastica influisce sulle temperature?
La concentrazione di materiale plastico, con la sua enorme estensione superficiale, ed il suo spessore che mediamente scende fino a 30 metri di profondità, contribuisce all’aumento delle temperature.
La concentrazione di plastica su cos’altro influisce?
Negli oceani abita l’80% delle specie viventi; mari ed oceani costituiscono l’habitat più esteso del nostro pianeta, e soprattutto proprio le acque superficiali, raggiunte dalla luce del Sole, brulicano di microrganismi galleggianti (plancton e fitoplancton) che producono più del 50% dell’ossigeno del pianeta, ma tali colonie sono minacciate dal proliferare di milioni di tonnellate di plastica, flottanti proprio nella fascia in cui vivono queste creature, così fondamentali per la nostra esistenza.
Ed è sempre in questa fascia che, nel solo Mar Mediterraneo, vive la Posidonia Oceanica, una pianta che si estende formando grandi praterie che riescono a produrre giornalmente fino a 14 litri di ossigeno per metro quadrato.
Si tratta di un problema importante, ma quanto importante?
Tale breve e sommaria analisi può farvi realizzare quale può essere il futuro dell’intera umanità se non si farà nulla per eliminare la plastica da fiumi, mari ed oceani; io ed il gruppo di lavoro che è qui oggi con me, costituito da professionisti di altissimo profilo, abbiamo dedicato 6 mesi all’analisi di tutti i dati dei quali abbiamo potuto disporre, ed abbiamo calcolato con buona precisione che l’umanità ha meno di 30 anni di vita davanti a sé, al termine dei quali non ci sarà più aria respirabile in nessun luogo del mondo.
Dove si possono trovare informazioni dettagliate?
Invito chiunque fosse interessato a conoscere più nel dettaglio le analisi che da anni, ed ogni giorno, vengono compiute sulle quantità di CO2 fissate dalle varie superfici acquee del nostro pianeta, a consultare Carbochange (https://carbochange.w.uib.no/data/surface-ocean-carbon/) e Surface Ocean CO₂ Atlas (SOCAT) (https://www.socat.info/); sicuramente vi troverete una quantità impressionante di informazioni estremamente accurate.
Qualcuna possiamo già darvela, estraendola dagli studi compiuti dal Team EDIPO:
Tutto chiaro, tranne che il meccanismo che toglierà aria respirabile: come mai?
Per comprenderlo, è necessario fare dei semplici calcoli su ciò che avviene con la respirazione.
Pur tenendo presente che oltre all’essere umano ci sono numerosissime altre creature che respirano, per semplicità di calcolo limitiamoci a considerare l’essere umano.
Un adulto medio a riposo inala ed esala circa 8 litri di aria al minuto: in un giorno, dunque, respira 11.520 litri (11,52 kg.) d’aria.
Ne consegue che l’intera umanità, composta da 8,2 miliardi di persone, ogni giorno respira circa 94,464 miliardi di kg. d’aria.
In realtà tale misurazione vale per un adulto in condizioni di riposo, poiché durante una attività fisica moderata arriva a respirare 60 litri di aria al minuto, mentre durante una attività fisica intensa respira fino a 130 litri di aria al minuto.
L’aria inspirata e l’aria espirata differiscono per la loro composizione gassosa?
L’aria inspirata contiene circa il 78% di azoto, il 21% di ossigeno e lo 0,04% di anidride carbonica, mentre l’aria espirata contiene circa il 78% di azoto, il 16% di ossigeno e il 4% di anidride carbonica; quindi, in condizioni di riposo inaliamo 2.419 litri di ossigeno e ne ributtiamo nell’ambiente 1.958 litri, poiché il corpo consuma circa 0.32 litri di ossigeno al minuto per il metabolismo.
Inoltre, l’aria espirata contiene anche tracce di altri gas come l’acqua e il metano.
Questa differenza nella composizione gassosa è il risultato del processo di scambio gassoso che avviene nei polmoni durante la respirazione.
Chi produce l’ossigeno che ci permette di vivere?
A questo punto è lecito chiedersi chi produca l’ossigeno che ci necessita, e spesso la risposta è “la foresta amazzonica, con tutti i suoi alberi”.
Giorgio Vecchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale alla Statale di Milano, scrive su Facebook che l’Amazzonia non è il “polmone del mondo”.
Tra il 50 e il 70% dell’ossigeno sulla Terra è prodotto dalla fotosintesi delle alghe negli oceani.
Ed effettivamente in realtà l’amazzonia non produce il 20% dell’ossigeno nel mondo (un dato errato che rimbalza anche sulle testate più prestigiose).
La cifra corretta varia da 0 a 6%: gli alberi assorbono anidride carbonica (CO2) ed emettono ossigeno con la fotosintesi (dai 20 ai 30 litri al giorno), ma man mano che crescono devono anche mantenere i propri tessuti, consumando ossigeno ed emettendo CO2 (come noi).
Più l’albero è grande, più il bilancio netto si avvicina a zero.
Inoltre, le foglie e il legno morto vengono degradati da batteri e funghi, emettendo altra CO2 e consumando altro ossigeno. In tutto, il bilancio è solo leggermente a favore dell’ossigeno, e negli anni in cui muoiono molti alberi per deforestazione o siccità, si avvicina a zero.
Quanti gas serra e CO2 ha assorbito l’oceano?
Dall’inizio dell’era industriale, l’oceano ha assorbito il 93% dei gas serra, circa 525 miliardi di tonnellate di CO2, più o meno 22 milioni di tonnellate al giorno.
Generalmente alla temperatura di 15°C ed alla pressione di 1013 millibar il peso specifico dell’aria viene assunto pari a 1,225 kg/m3. Questo significa che 1 metro cubo di aria (1000 litri) pesa poco più di un chilogrammo.
Il peso dell’intera atmosfera della Terra, dalla quale dipende la pressione atmosferica esercitata al suolo, è di circa 5,3 milioni di miliardi di tonnellate!
La principale fonte di ossigeno atmosferico è la fotosintesi, che produce zuccheri e ossigeno consumando anidride carbonica e acqua secondo la reazione:
6CO2+6H2O+energia (luce solare)→C6H12O6+6O2
Chi compie la fotosintesi?
Gli organismi che compiono la fotosintesi sono le piante terrestri e certi tipi di fitoplancton, come il cianobatterio Prochlorococcus, scoperto nel 1986 e responsabile di più di metà della produzione di ossigeno ad opera di forme di vita oceanica.
Un’altra fonte di ossigeno atmosferico è la fotolisi, quando le radiazioni ultraviolette del sole “rompono” le molecole d’acqua o nitriti negli elementi primari come H, N e rilasciando O2. Ad esempio, la fotolisi dell’acqua avviene in questo modo:
2H2O+energia (luce solare)→4H++4e−+O2
Dove si perde ossigeno atmosferico?
Le maggiori perdite di ossigeno atmosferico sono causate dalla respirazione e dalla decomposizione biologica, meccanismi in cui batteri e animali consumano O2 e rilasciano CO2.
Tutto ciò considerato oggi sappiamo che più della metà dell’ossigeno del pianeta proviene dall’oceano e, più precisamente, dal suo strato più superficiale chiamato “zona eufotica“. Sono i primi 200 metri circa dalla superficie, in cui la luce può penetrare raggiungendo gli organismi fotosintetici, dove troviamo specie diverse nella forma e nella tassonomia.
Non pensate solamente alle sconfinate foreste di alghe kelp che si stagliano come drappi lunghi decine e decine di metri, poiché sono alghe, diatomee, cianobatteri e altre minuscole forme di vita acquatiche a farla da padrona, costituendo ciò che chiamiamo fitoplancton.
Tutti gli organismi che fanno la fotosintesi clorofilliana producono ossigeno: non solo piante, quindi, ma anche alghe e cianobatteri e tutti gli esseri viventi in grado di auto-prodursi il nutrimento di cui hanno bisogno tramite questo processo.
Usano l’energia del Sole per trasformare l’anidride carbonica atmosferica e l’acqua che assorbono dall’ambiente in zucchero e ossigeno, grazie ad un complesso processo che coinvolge le molecole di clorofilla.
Con lo zucchero si alimentano e si mantengono in vita ma l’ossigeno per loro è uno scarto, ecco perché viene rilasciato nell’ambiente.
Da che mondo è mondo, è sempre stato così?
È utile considerare che a volte si danno per scontate cose che scontate non sono.
Per esempio, l’atmosfera, poiché come la conosciamo oggi è ben diversa da quella del passato.
Le piante terrestri iniziano ad apparire nella documentazione fossile appena 470 milioni di anni fa, ben prima che i dinosauri vagassero indisturbati sulla Terra.
Non tutti sanno, però, che prima ancora dello sviluppo delle piante terrestri l’oceano stava già producendo ossigeno da miliardi di anni.
Ma partiamo dall’inizio e vediamo come è avvenuto l’intero processo.
Al tempo in cui la Terra si era formata da poco (ad oggi si stima che abbia circa 4,54 miliardi di anni) l’atmosfera era ancora un ammasso di gas serra, tra cui metano, anidride carbonica e vapore acqueo e il pianeta era colonizzato da alcuni organismi in grado di sopravvivere in assenza di ossigeno come batteri e archei.
Questo finché la situazione non cambiò drasticamente.
Circa 3,5 miliardi di anni fa si iniziarono a sviluppare i primi cianobatteri marini in grado di sfruttare la luce del Sole per alimentarsi, grazie a quel famoso processo che oggi chiamiamo fotosintesi clorofilliana.
A seguito di queste reazioni, poco meno di 2,4 miliardi di anni fa l’ossigeno (che è tossico) contenuto negli oceani raggiunse l’atmosfera, stravolgendo gli ecosistemi marini e terrestri e facendo estinguere moltissime delle specie viventi più antiche.
Questo evento, noto come la catastrofe dell’ossigeno, fu la prima grande estinzione di massa di cui siamo a conoscenza.
Da quel momento l’ossigeno si accumulò pian piano, raggiungendo e superando la concentrazione odierna, poi calando gradualmente.
Ad oggi la concentrazione di O2 è più o meno costante attorno al 21%, e si stima sia dovuto a quel surplus prodotto anticamente dai cianobatteri.
Per quanto riguarda ossigeno prodotto e consumato regolarmente (sia sulla terra che nei mari), i valori sono attualmente in equilibrio, con un bilancio netto quasi a zero: tanto se ne produce quanto se ne usa.
Insomma, pare che dobbiamo ringraziare i cianobatteri se oggi respiriamo!
Anzi, forse un organismo specifico…
Quindi non respiriamo grazie agli alberi, ma grazie a un batterio?
1 respiro su 5 lo dobbiamo ad un minuscolo batterio, poiché chi produce gran parte dell’ossigeno è il cianobatterio Prochlorococcus.
È il più piccolo organismo fotosintetico noto sulla Terra ed è in grado di produrre da solo fino al 20% dell’ossigeno nell’intera biosfera, una quantità ben al di sopra di quella prodotta di tutte le foreste pluviali messe insieme.
Sarà pur minuscolo, ma per noi è davvero indispensabile.
Ci sono più o meno 1027, ovvero 10 elevato alla 27, ovvero 10 seguito da 27 zeri (10.000.000.000.000.000.000.000.000.000) Prochlorococcus in tutto l’oceano, cioè circa 20.000 loro cellule in una singola goccia d’acqua (Science, 2017)!
Sul ruolo dei microorganismi fotosintetizzanti molti aspetti tecnici e storici restano ancora da comprendere, ma è solo grazie al tempo e alle ricerche che impareremo sempre più a conoscere i nostri ecosistemi complessi.
Ma l’oceano non fa solo questo.
Ci sono inoltre numerose azioni che l’oceano esercita contro l’impatto del cambiamento climatico: assorbe circa il 30% dell’anidride carbonica emessa dalle attività antropiche e circa il 90% del calore in eccesso.
Infine, tutto quello che riguarda il cibo: il 16% delle proteine animali, che, come esseri umani, ingeriamo, viene dal mare, una media che in alcuni paesi arriva al 60%.
E poi c’è la parte meno conosciuta ma in crescita che è la connessione con la salute umana: l’oceano ha un impatto positivo sulla nostra salute riducendo la frequenza del battito cardiaco, i livelli di stress e la pressione sanguigna e permettendo lo sviluppo di tantissime medicine – da sostanze prodotte da organismi marini – per curare malattie importanti come il cancro e l’Alzheimer.
Voglio concludere questa breve presentazione con un consiglio: la prossima volta che andremo a goderci il mare, ricordiamoci quanto l’oceano sia importante per il benessere degli esseri viventi che popolano la Terra e che… noi umani siamo qui anche grazie ai nostri amici cianobatteri.
Carlo Makhloufi Donelli