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Copertina: Stalin? Ha perso, anche se ha vinto
Stalin. Ha perso, anche se ha vinto

Mentalitá maschilista, patriarcato e la donna come personaggio secondario

Un uomo dell'ottocento, in camicia e pantaloni, guarda con sospetto una donna, seduta e col capo velato

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Quale ruolo hanno avuto le invasioni dei popoli orientali nella terra salentina?

Crocevia di genti foriere di lingue e culture differenti, il Salento ha subito in particolare la calata dei Turchi e dei Saraceni, e la mentalità di queste popolazioni straniere ha avuto una notevole influenza sul ruolo attribuito alla donna all’interno di una comunità sociale gravemente compromessa dalla povertà e dall’imbarbarimento culturale.

La tradizione orale è meravigliosa e triste al contempo, perché spesso carica di stati emotivi dolorosi, dai pochi racconti delle mie nonne ho appreso che la loro vita è stata segnata da una molteplicità di tabù.

Nate nei primi anni del Novecento, la loro vita giornaliera è stata scandita dai lavori nei campi, o nelle fabbriche di tabacco e, di ritorno a casa, all’obbedienza all’uomo di turno, sia egli padre, fratello o marito.

Il ruolo assunto, suo malgrado, dalla donna salentina, per buona parte del XX secolo, ha un non so che della donna francese dell’Ancien Régime, considerata come soggetto passivo, obbligata a fare affidamento sul sesso maschile per stabilire quello che è più adatto a lei.

Nella Francia settecentesca si tendeva a riaffermare il deplorevole adagio: “Fuori lavorare, dentro obbedire”, motto dettato da una mentalità tipicamente maschilista, che voleva la donna assoggettata all’uomo in tutto e per tutto.

Le donne salentine, infatti, erano sottomesse al padre, che incarnava la figura del padrone, ai fratelli maschi e, una volta data in sposa, al marito.

Giovani costrette, con poche eccezioni, a rinunciare a progettare liberamente il proprio futuro, la propria vita lavorativa, rese completamente dipendenti dal punto di vista economico all’uomo. Fatte venire al mondo per sacrificare tutta la loro esistenza alle esigenze della famiglia e del focolare domestico.

Non a caso Pino Mariano, attento osservatore, nella sua opera i “Carrettieri Emigrati”, descrive in un elzeviro con un termine molto forte il ruolo della donna del sud Italia, sia che si tratti di contadina, operaia o casalinga: “Non ricordo più come la donna incominciasse la sua carriera di sguattera”.

Il termine deriva dal longobardo “wahtari” con il significato di sorvegliante, guardiano.

In origine, la parola, ormai desueta, di “guattero” indicava il cuciniere. Non deve, quindi, trarre in inganno il significato di guardiano, in realtà lo sguattero era la persona che in cucina svolgeva le mansioni più umili e pesanti.

Il termine, riferito alla donna salentina, ne sottolinea lo stato di emarginazione e di sottomissione.

Nella società dell’epoca, il rispetto e la buona reputazione la donna li viveva di riflesso, in base al lavoro svolto dal marito o al posto che occupava nella società.

E che dire dei tabù? Di tutti quei divieti che altro non erano che privazione della libertà umana?

Mia nonna raccontava che le sue passeggiate attraverso il paese avvenivano solo al braccio del marito, ma più che una passeggiata sembrava una volata, il passo svelto e il capo chino al cospetto degli altri uomini riuniti in piazza: un’impostazione disgustosamente maschilista che privava la donna della sua dignità.

Da bambina curiosa, dalla finestra mi piaceva guardare le persone passare; allora mia nonna mi urlava contro: “Togliti immediatamente da lì!”.

Troppo piccola per capire che, nonostante i tempi fossero cambiati, la sua paura atavica di essere etichettata a vita come meretrice si dilatava ai membri femminili della sua prole, per rispetto non ho mai osato chiederle quali altre proibizioni era stata costretta a vivere, mi sono semplicemente limitata a osservare i suoi comportamenti e ascoltare i suoi scarni racconti.

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