Ho appena finito di sentire in diretta dal Senato Italiano, il lungo discorso del Presidente del Consiglio Mario Draghi e, come puntualmente ho già avuto modo di dire pochi giorni or sono, le cose sono andate esattamente come previsto.
Va detto che siamo ancora agli inizi della giornata e abbiamo ascoltato solo la campana del Super Mario e, come è giusto che sia nelle cose, avremo modo, nel prosieguo della discussione, di ascoltare tutti i pareri e le reazioni delle forze politiche presenti.
Anche se è del tutto ovvio che non esista nulla di certo, ma è molto probabile, nell’ordine del 95%, che Draghi ritiri le sue dimissioni e prosegua nella conduzione del governo, o per tutta la restante legislatura – termina naturalmente il 4 marzo del 2023 – o, come qualcuno gli ha suggerito in questi giorni, il tempo necessario per chiudere la legge di bilancio e le ultime operazioni relative al P.N.R.R. e, dopo, dare le dimissioni in concomitanza con la fine dell’anno.
A quel punto resterebbe in carica come governo dimissionario/elettorale per il disbrigo degli affari correnti e lascerebbe fisicamente il Parlamento a elezioni ultimate, lasciando il posto ai vincitori futuri.
Ma, analizzando il discorso che ha tenuto questo fulgido esempio di ferrea obbedienza alle lobby di potere economico e finanziario mondiale, si può immediatamente notare la quantità di “macigni” che il professore si è tolto dalle scarpe, sopratutto verso il suo predecessore Conte, e verso quel Salvini che, ultimamente, scalpitava lanciando segnali di insofferenza verso le modalità operative di tutto il governo e non lesinando “minacce” di abbandono ad ogni piè sospinto.
Minacce che, ovviamente, non sono piaciute assolutamente a Draghi, il quale non si è fatto scappare l’occasione, attraverso uno dei discorsi più saturi di retorica spicciola di sempre, per mandare chiari messaggi a tutti i “traditori e ribelli” che o si fa come dice lui o se ne va.
Osservando la faccia di Draghi mentre declamava il suo discorso al Senato e, in qualche verso, anche rivolto all’intero paese, si aveva la netta impressione di stare di fronte ad un gladiatore nell’arena che, rivolgendosi al proprio nemico, cercava, con l’espressione facciale, di impaurirlo ancor prima di affondare la spada nel suo corpo.
La sensazione generale che mi è scaturita dentro mi ha fatto accomunare il Super Draghi al classico bimbo al quale vengono tolte le caramelle per punire una sua marachella.
Anche se non richiesto o dovuto, ha voluto ripercorrere tutte le vicende che lo hanno portato alla decisione di qualche giorno fa di rendere le sue dimissioni, toccando ed elogiando sperticatamente tutti i provvedimenti approvati dal suo fare e ricordando a tutti quanti quale percorso ancora attende il governo alla fine di questa estenuante giornata.
Come c’era da aspettarselo, la sintesi di ciò che ha detto riguardo a tali provvedimenti, effettuati nei mesi scorsi, è che sono stati tutti perfetti, che gli hanno permesso di centrare tutti gli obiettivi imposti dall’Unione Europea, che hanno reso l’Italia migliore e, sopratutto, l’hanno confermata fra i grandi del mondo, con rosee prospettive per il futuro prossimo.
Ma, esattamente, questo personaggio dove vive? Sulla Luna? O su Marte?
Perché, a me non pare che la situazione dipinta dal suo discorso, grondante retorica, sia molto attinente a quella che è la realtà del nostro paese ed alla crisi infinita nella quale proprio lui, prima con le sue azioni scellerate del periodo nel quale ricopriva la carica di Presidente della Banca Centrale Europea e, poi, con le devastanti operazioni portate a termine durante questo suo governo, ci ha portato e nella quale siamo tutt’ora, senza ombra di speranza di uscirne a breve.
Sopratutto, con la dichiarazione circa il prosieguo nel sostegno “senza se e senza ma” dell’Ucraina contro la vergognosa invasione dell’orco Putin, ha insistito nel voler continuare a percorrere una strada che, ahimè, si rivelerà molto pericolosa, per noi e per l’intera Europa.
Un passaggio che ho notato con estremo stupore, in quanto lo ha solo citato, senza commentarlo minimamente – per lo meno senza dare chiare indicazioni su come affrontare tale problema – è relativo alla cifra declamata da lui circa il credito che l’agenzia delle entrate e riscossioni ancora vanta nei confronti dell’intera cittadinanza Italiana, e cioè circa 1.100 miliardi di Euro.
Se si unisce tale cifra alla ben più mastodontica quantità di denaro che compone il nostro debito pubblico, che + pari a quasi 3 mila miliardi, e che genera ogni anno un cumulo di interessi molto vicini, se non addirittura superiori, ai 100 miliardi, si può avere una chiara fotografia di come, effettivamente, siamo messi.
E la cosa che più mi stomaca e mi rende insopportabile ascoltare questi ciarlatani di politici, Draghi in testa, è proprio la questione che si riempiano la bocca con i miliardi di euro che abbiamo ricevuto e che ancora dobbiamo ricevere per l’applicazione del P.N.R.R., che, a ben sentire le sue esternazioni, ora della fine dell’anno, saranno circa 100 in tutto.
Forse anche un bimbo delle elementari sarebbe in grado di capire che se da una parte riceviamo 100 miliardi dall’Europa – di cui solo una piccola parte sono “a fondo perduto”, ma gli altri dovremo restituirli – e dall’altra ne versiamo altri 100 nelle tasche delle banche o delle finanziarie che detengono i Titoli di Stato, non siamo poi messi così bene e che, in sostanza, la “gestione Italiana” è del tutto fallimentare.
Quello che vorrei dire con questa mia analisi a caldo del pomposo discorso che il nostro Super Mario ha voluto imbastire oggi, è che le mie critiche non sono assolutamente né di parte né, tanto meno, per antipatie o preconcetti, ma fortemente basate sui dati oggettivi della realtà che tutti noi viviamo quotidianamente.
Come chicca finale, va sottolineata la “chiusura” che lo Zar del Draghistan ha voluto riservare all’intero auditorium senatoriale e che, in qualche modo, ricalca il suo carattere vendicativo ed autoritario.
In buona sostanza – ricalcando il celebre modo di eloquire di un avvocato di un famoso film – ha chiuso lanciando una sfida aperta a tutti quanti i parlamentari, chiedendo loro se fossero pronti per “ricostruire” il patto di fiducia che si era rotto pochi giorni prima, dopo un mese di tira e molla.
Non penso che, a memoria mia, si sia mai sentito un presidente del Consiglio lanciare una sfida così smaccatamente arrogante e da vero bullo del quartiere e, in special modo, non capisco – salvo ricredermi nel prosieguo della seduta odierna – come sia possibile che l’intero Senato non sia esploso in un unico urlo di protesta per questa dimostrazione di autoritarismo lampante.
E, per finire, la classica frase finale “non dovete rispondere a me, ma all’intero popolo Italiano” se la poteva anche risparmiare.
Più che altro, CE la poteva risparmiare.