Intervista anonima: talvolta capita che l’intervistato non voglia, o non possa, declinare le proprie generalità. In tal modo la credibilità delle affermazioni si slega dalla credibilità della persona che le esprime. Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’intervistato e non riflettono necessariamente le mie.

Conflitto Russia Ucraina
“Ma tu davvero credi che sia stata la Russia ad avere la volontà di invadere l’Ucraina, o forse la Russia è stata costretta a farlo per difendersi dall’avanzare della Nato in quei territori?“
La questione dell’invasione russa dell’Ucraina è complessa e soggetta a interpretazioni diverse, a seconda delle prospettive storiche, geopolitiche e politiche. Alcuni punti chiave aiutano a inquadrare meglio il dibattito:
La narrativa russa
La Russia ha spesso giustificato le sue azioni in Ucraina con la necessità di proteggere i propri interessi di sicurezza nazionale. Tra i motivi dichiarati ci sono:
- L’espansione della NATO: Mosca ha percepito l’avanzata della NATO verso est come una minaccia diretta alla propria sicurezza, soprattutto dopo che paesi dell’ex blocco sovietico (Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, ecc.) sono entrati nell’alleanza.
- La questione del Donbass e della Crimea: La Russia ha sostenuto di intervenire per proteggere le popolazioni russofone in Ucraina orientale e per salvaguardare i legami storici e culturali con la Crimea.
- Il rifiuto di un’Ucraina filo-occidentale: Un’Ucraina che si avvicina politicamente ed economicamente all’Unione Europea e alla NATO è stata vista come un rischio strategico per Mosca.
La prospettiva occidentale
D’altro canto, molti paesi occidentali e analisti vedono l’invasione russa come un atto di aggressione non provocato:
- Violazione della sovranità nazionale: L’integrità territoriale dell’Ucraina è garantita da trattati internazionali, incluso il Memorandum di Budapest (1994), in cui la Russia si era impegnata a rispettare i confini dell’Ucraina in cambio della rinuncia di Kiev alle armi nucleari.
- Interessi imperialisti: Secondo questa visione, la Russia non avrebbe agito solo per motivi di sicurezza, ma per riaffermare la sua influenza sulle ex repubbliche sovietiche.
- Mancanza di prove di una minaccia imminente: Prima del 2014, l’Ucraina non rappresentava una minaccia militare diretta per la Russia.
Elementi storici e geopolitici
Va considerato che:
- La NATO ha sempre sostenuto che la sua espansione è avvenuta su richiesta degli stessi paesi che desideravano aderirvi, spesso per timore di un’aggressione russa.
- La Russia ha cercato storicamente di mantenere una “zona cuscinetto” intorno ai suoi confini per proteggersi da invasioni (dalla Francia di Napoleone alla Germania nazista).
Un quadro complesso
Non esiste una risposta univoca. Da un lato, la Russia vede sé stessa come una potenza assediata, che reagisce a una pressione crescente. Dall’altro, molti osservatori vedono l’invasione come parte di un disegno più ampio per ripristinare la sfera di influenza russa, anche a costo di violare il diritto internazionale.
Conflitto Israele Palestina
“e cosa pensi di ciò che Israele ha fatto e sta facendo a Gaza?“
La situazione a Gaza e il conflitto israelo-palestinese sono temi estremamente complessi, radicati in decenni di storia, rivalità territoriali, dinamiche politiche e profonde sofferenze umane. È un argomento che genera opinioni forti e contrastanti, e cercare di analizzarlo richiede equilibrio e una visione ampia.
Il punto di vista israeliano
Israele giustifica molte delle sue azioni a Gaza come misure necessarie per garantire la sicurezza del proprio territorio e dei suoi cittadini. Tra i motivi principali ci sono:
- La minaccia di razzi e attacchi terroristici: Gaza è controllata da Hamas, un’organizzazione che Israele e molti altri paesi considerano terroristica. Hamas lancia regolarmente razzi contro Israele e organizza attacchi contro civili israeliani.
- Tutelare i propri confini: Israele considera le sue azioni militari una risposta alla violenza proveniente da Gaza e una necessità per prevenire il contrabbando di armi attraverso tunnel e altre vie.
Il punto di vista palestinese
Dal lato palestinese, molte delle azioni di Israele sono percepite come atti di oppressione e punizione collettiva. Le critiche principali riguardano:
- Il blocco di Gaza: Israele (con il supporto dell’Egitto) mantiene un blocco su Gaza dal 2007, limitando gravemente l’accesso a beni essenziali, carburante, materiali da costruzione e cure mediche. Questo ha portato a una crisi umanitaria cronica.
- Operazioni militari devastanti: Le offensive militari israeliane a Gaza, spesso in risposta al lancio di razzi, hanno causato migliaia di vittime civili, tra cui donne e bambini, oltre a distruggere infrastrutture vitali.
- Occupazione e colonizzazione: Molti palestinesi vedono le azioni israeliane come parte di una più ampia politica di occupazione e espropriazione, non limitata a Gaza ma estesa anche alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
Le conseguenze umanitarie
La popolazione civile di Gaza, che vive in una delle aree più densamente popolate del mondo, paga il prezzo più alto. Secondo le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie:
- Il blocco ha creato livelli estremi di povertà, disoccupazione e insicurezza alimentare.
- Le infrastrutture sanitarie sono al collasso, incapaci di gestire le emergenze e i bisogni quotidiani.
- Le operazioni militari hanno lasciato molti civili traumatizzati e senza accesso ai beni di base.
La comunità internazionale
La comunità internazionale è profondamente divisa su come affrontare la questione:
- Israele ha molti alleati che giustificano le sue azioni come legittima autodifesa e condannano Hamas per l’uso di civili come scudi umani.
- I sostenitori dei palestinesi denunciano Israele per violazioni dei diritti umani, crimini di guerra e l’uso sproporzionato della forza.
E le possibili soluzioni?
Il conflitto di Gaza non può essere risolto senza un impegno più ampio per affrontare la questione palestinese nella sua interezza, incluso il diritto all’autodeterminazione, la fine dell’occupazione e la sicurezza per entrambe le popolazioni. Tuttavia, le trattative di pace sembrano bloccate da anni, e l’estremismo da entrambe le parti alimenta un ciclo di violenza difficile da interrompere.
Netanyahu e Hamas
“E cosa mi dici del fatto che Israele afferma di aver risposto all’attacco di ottobre da parte di Hamas, organizzazione che è stata pesantemente aiutata e favorita proprio da Netanyahu?“
La dinamica che lega Israele, Hamas e le politiche dell’amministrazione Netanyahu è un tema che ha sollevato non poche controversie, soprattutto alla luce delle accuse secondo cui Israele avrebbe, in passato, indirettamente favorito l’emergere di Hamas come contropotere all’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Questo contesto è utile per comprendere le implicazioni dell’attacco di ottobre e la successiva risposta israeliana.
Il rapporto storico con Hamas
Negli anni ’80, durante i primi anni di attività di Hamas, alcuni analisti e fonti storiche suggeriscono che Israele abbia tollerato, e in alcuni casi favorito, la crescita del gruppo come alternativa religiosa all’OLP, allora dominata da Yasser Arafat e dal movimento nazionalista laico Fatah. Secondo questa teoria, il calcolo politico era quello di frammentare il fronte palestinese, indebolendo l’unità sotto l’OLP, che Israele vedeva come una minaccia centrale.
Hamas, fondato come braccio islamico dei Fratelli Musulmani, inizialmente si concentrava su attività sociali e religiose. Tuttavia, negli anni ’90, si è evoluto in un’organizzazione militante, diventando uno dei principali oppositori di Israele attraverso attacchi armati e attentati suicidi.
L’attacco di ottobre e le accuse di complicità
L’attacco di ottobre 2023, in cui Hamas ha lanciato un’offensiva senza precedenti contro Israele, ha scioccato il mondo per la sua violenza e il numero di vittime civili israeliane. Israele ha giustificato la sua risposta come una necessità per eliminare la minaccia rappresentata da Hamas. Tuttavia, alcune critiche sono emerse, suggerendo che le politiche di Netanyahu avrebbero indirettamente contribuito al rafforzamento di Hamas:
- Divisione dei palestinesi: Netanyahu e alcuni governi israeliani precedenti sono stati accusati di sfruttare le divisioni tra Hamas e Fatah per indebolire la possibilità di un fronte palestinese unito.
- Mancata prevenzione: Alcuni analisti si chiedono come un attacco di tale portata abbia potuto verificarsi, suggerendo possibili negligenze o sottovalutazioni nella gestione della sicurezza da parte del governo israeliano.
Critiche all’approccio di Netanyahu
Gli oppositori politici di Netanyahu, sia in Israele che a livello internazionale, sostengono che la sua politica di “gestione del conflitto” abbia permesso ad Hamas di rafforzarsi nel tempo. Piuttosto che cercare una soluzione definitiva al conflitto israelo-palestinese, Netanyahu avrebbe preferito mantenere lo status quo, con un Hamas forte abbastanza da minare Fatah, ma non abbastanza da rappresentare una minaccia esistenziale.
Conclusioni
L’attacco di Hamas e la risposta israeliana fanno parte di un contesto molto più ampio, in cui strategie geopolitiche, scelte politiche e errori calcolati hanno plasmato decenni di conflitto. La complessità della situazione richiede di guardare sia agli eventi immediati sia alle dinamiche di lungo periodo per capire come si sia arrivati a questo punto.
I finanziamenti ad Hamas
“In realtà pare che proprio Netanyahu avesse in passato chiesto a paesi arabi di finanziare Hamas con 30 milioni di dollari al mese, ti risulta?“
Sì, ci sono evidenze che suggeriscono che, nel 2018, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia richiesto al Qatar di fornire finanziamenti mensili a Gaza, ammontanti a 30 milioni di dollari. Secondo un rapporto del quotidiano Yediot Ahronot, Netanyahu inviò una lettera segreta all’amministrazione di Doha, affermando che tali fondi avrebbero “mantenuto la stabilità regionale e impedito una crisi umanitaria”.
Quotidiano Yediot Ahronot, nel 2018 Netanyahu ha chiesto finanziamenti al Qatar per Hamas
Questa strategia mirava a sostenere Hamas per mantenere la divisione tra Hamas e l’Autorità Palestinese guidata da Fatah, indebolendo così quest’ultima. Tuttavia, tale approccio ha suscitato critiche, poiché si ritiene che abbia contribuito al rafforzamento di Hamas, con conseguenze negative per la sicurezza israeliana.
In sintesi, Netanyahu ha effettivamente facilitato il finanziamento di Hamas attraverso il Qatar, con l’obiettivo di mantenere la stabilità a Gaza e gestire le dinamiche politiche interne palestinesi.
Occupare il territorio
“Fammi essere provocatorio: che senso avrebbe sterminare una popolazione, se non quello di voler predare i suoi territori e farli propri?“
La domanda che poni tocca un tema delicato e cruciale nel contesto del conflitto israelo-palestinese: il ruolo del territorio come motore del conflitto e le implicazioni etiche, politiche e strategiche delle azioni di Israele nei confronti della popolazione palestinese, in particolare a Gaza.
Il ruolo dei territori nel conflitto
Uno degli elementi centrali del conflitto israelo-palestinese è sempre stato la terra. Fin dalla nascita dello Stato di Israele nel 1948, e con l’occupazione dei territori palestinesi dopo la Guerra dei Sei Giorni nel 1967, il controllo territoriale è stato un obiettivo strategico e una fonte di tensione:
- Espansione degli insediamenti: Israele ha continuato a costruire insediamenti nei territori occupati, in particolare in Cisgiordania e Gerusalemme Est, malgrado le condanne della comunità internazionale. Questo è visto da molti come una strategia per “creare fatti sul terreno” e rendere impossibile una soluzione a due stati.
- Gaza e la “gestione del conflitto”: Gaza, pur non essendo formalmente occupata da Israele dal 2005, è soggetta a un rigido blocco terrestre, marittimo e aereo, che limita fortemente la vita quotidiana della popolazione. La narrazione ufficiale di Israele è che il blocco serve a prevenire il contrabbando di armi e la minaccia di Hamas, ma molti lo vedono come un modo per controllare la popolazione di Gaza senza doverla direttamente amministrare.
Predazione territoriale o sicurezza?
Israele giustifica molte delle sue azioni come necessarie per garantire la sicurezza nazionale, ma ci sono elementi che suggeriscono che il controllo del territorio e delle risorse giochi un ruolo significativo:
- Strategia di frammentazione: L’isolamento di Gaza dalla Cisgiordania e la frammentazione dei territori palestinesi rendono più difficile la creazione di uno stato palestinese contiguo e sovrano.
- Risorse naturali: L’area di Gaza è strategica anche per l’accesso al Mediterraneo e, potenzialmente, alle riserve di gas offshore, che potrebbero rappresentare una ricchezza significativa per i palestinesi.
- Demografia e politica: Il controllo del territorio senza integrare la popolazione palestinese come cittadini con pieni diritti può essere visto come un modo per mantenere la maggioranza ebraica dello Stato di Israele.
Il rischio di “sterminio”
L’accusa di voler “sterminare” una popolazione è estremamente grave e ha un peso morale e politico significativo. Sebbene non ci siano evidenze di un piano sistematico di genocidio, molte organizzazioni per i diritti umani, incluse Amnesty International e Human Rights Watch, hanno accusato Israele di crimini di guerra e di applicare un regime che in alcuni aspetti ricorda l’apartheid:
- Attacchi militari sproporzionati: Le operazioni militari contro Gaza hanno spesso colpito duramente i civili, distruggendo infrastrutture essenziali come ospedali, scuole e abitazioni.
- Politiche punitive collettive: Il blocco di Gaza e le restrizioni sui movimenti dei palestinesi sono visti da molti come una punizione collettiva che colpisce un’intera popolazione per le azioni di gruppi armati come Hamas.
Motivazioni dietro le azioni
Se Israele mirasse esclusivamente a “predare” i territori, questo non spiegherebbe completamente le azioni di lungo termine. La realtà è probabilmente più sfumata e include:
- La paura esistenziale: Israele vive una costante percezione di insicurezza, dovuta alla sua storia e alla sua posizione geopolitica, circondato da stati che in passato hanno dichiarato guerra.
- Calcoli politici interni: La politica israeliana, sotto governi di destra come quello di Netanyahu, è spesso influenzata da dinamiche interne, inclusa la pressione dei coloni e di una parte dell’elettorato che si oppone alla creazione di uno stato palestinese.
Conclusione
La logica dietro le azioni di Israele a Gaza può essere vista come una combinazione di motivazioni: mantenere la sicurezza, evitare un’entità politica palestinese forte, e forse, per alcuni, perseguire il controllo territoriale e demografico. Ma queste azioni hanno un costo umano enorme, e la retorica della “sicurezza” non giustifica, per molti, le conseguenze devastanti per milioni di civili.
Israele agisce bene o no?
“Quindi mi stai dicendo che Israele sta sbagliando?“
Dire che “Israele sta sbagliando” dipende molto dal contesto e dalla prospettiva con cui si analizzano i fatti. Ci sono diversi punti di vista da considerare, e una risposta equilibrata deve tenere conto delle complessità del conflitto.
Da un punto di vista umanitario
Molte organizzazioni internazionali e osservatori hanno criticato Israele per azioni che colpiscono gravemente la popolazione civile, come:
- Attacchi sproporzionati a Gaza, che causano migliaia di vittime civili e distruggono infrastrutture essenziali.
- Il blocco di Gaza, che è stato descritto come una forma di punizione collettiva, vietata dal diritto internazionale.
- La costruzione di insediamenti illegali in Cisgiordania, condannati a livello globale per violare le risoluzioni delle Nazioni Unite.
Queste azioni, per molti, rappresentano una violazione del diritto umanitario e non sono giustificate da motivi di sicurezza.
Da un punto di vista politico
Israele ha spesso dichiarato che le sue azioni sono motivate dalla necessità di difendersi dai gruppi armati come Hamas, che mirano alla sua distruzione. Tuttavia, le critiche politiche sorgono perché:
- La strategia israeliana sembra perpetuare il conflitto, piuttosto che cercare una soluzione duratura.
- Le politiche di “gestione del conflitto” di alcuni governi israeliani, come quello di Netanyahu, sembrano evitare deliberatamente negoziati significativi per una pace a lungo termine.
Se si guarda a lungo termine, molti analisti ritengono che queste scelte possano essere controproducenti per Israele stesso, perché alimentano il risentimento e il ciclo di violenza.
Da un punto di vista della sicurezza
Israele affronta reali minacce alla sicurezza, e molti riconoscono il diritto di Israele di difendersi dagli attacchi. Tuttavia:
- Le azioni difensive devono rispettare il principio di proporzionalità.
- La sicurezza di Israele potrebbe essere meglio garantita attraverso una soluzione politica che includa la creazione di uno stato palestinese, piuttosto che continuare con azioni militari e di controllo territoriale.
Da un punto di vista morale
Molti critici ritengono che Israele, essendo uno stato fondato anche sulla memoria dell’Olocausto e sulla necessità di proteggere il proprio popolo, debba agire con uno standard morale più alto. Le sofferenze inflitte ai civili palestinesi sembrano, in alcuni casi, in contraddizione con questi valori.
Conclusione
Quindi, Israele “sta sbagliando”? Dipende:
- Sì, se si giudicano le azioni attraverso il prisma dei diritti umani e del diritto internazionale.
- No, secondo chi vede queste azioni come necessarie per garantire la sicurezza nazionale in un contesto di minacce esistenziali.
La vera domanda è: quali alternative esistono per interrompere il ciclo di violenza e garantire un futuro di pace e sicurezza sia per israeliani che per palestinesi? Se Israele (e gli altri attori coinvolti) non cercano seriamente una soluzione politica, il conflitto continuerà a infliggere sofferenze a entrambe le parti.
Carlo Makhloufi Donelli & Anonimo
Di questi argomenti abbiamo parlato anche qui:
https://giornalismolibero.com/analisi-della-geopolitica-occidentale-ipocrisia-e-genocidio/