Questo è il primo di una serie di articoli che avranno come protagonista Alessandro Manzoni e il frutto del suo genio letterario.
Intanto, cari lettori, andiamo a curiosare nei cassetti segreti dell’animo dello scrittore.
Pare che comportamenti nevrotici e ansiosi caratterizzassero la sua personalità, da aggiungersi frequenti stati di agitazione e una sicurezza zoppicante.
Ma da dove genera cotanto malessere? Beh! Scomodando il celebre psicoanalista Freud è presto detto: in ambito familiare!
Già, potrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere tutto più comprensibile, visto che Sandrino si è ritrovato in una famiglia allargata.
Davvero pensavate che l’espressione “famiglia allargata” fosse stata coniata dalla Generazione Y o Millennial? Macché!
Andiamo a ritroso e partiamo dall’inizio…
Alessandro Manzoni, origini milanesi, classe 1785, si dice figlio del conte Pietro Manzoni, e con certezza di Giulia Beccaria, ebbene, sì, proprio lei, la figlia del celebre illuminista Cesare Beccaria, autore dei Delitti e delle Pene.
Ora, Pietro e Giulia, nel 1782, convolano a nozze, un’unione più di circostanza che di reale passione e amore; la seducente Giulia era famosa per le sue fuitine dal letto coniugale, non per giustificare il suo difettuccio di infedele, ma quasi trent’anni di differenza con il consorte, insomma… ci siamo capiti, no?
Anche Giulia, come la madre Teresa Blasco, si sentiva follemente attratta dai membri della famiglia Verri. E da tale affascinamento qualcuno ha ricamato su una bella storia circa la presunta paternità di Pietro Manzoni.
C’è da dire che il ruolo di Pietro nella vita del figlio è stato molto marginale. Qualcuno ha avuto l’ardire di affermare che forse Alessandro non era nemmeno frutto dei suoi testicoli, ma questo non lo aveva dissuaso da lasciargli, una volta morto, una bella fetta della sua eredità.
Secondo i “gossippari” dell’epoca, nella traballante relazione coniugale di Giulia e Pietro si era imbucato un terzo e inopportuno soggetto: Giovanni Verri, fratello minore niente meno che degli stimatissimi Pietro e Alessandro.
Che fosse lui il padre biologico di Alessandrino? Chissà!
In fondo, su gran parte delle persone illustri aleggia una sorta di mistero, e questo li rende ancora più intriganti e irresistibili.
Dunque, liberiamo la parte più fervida della nostra immaginazione e proviamo a dare una personale risposta: non cambierà la storia, ma sicuramente ci restituisce il lato umano di un grande della letteratura italiana.
Alessandro viene presto affidato alle cure di una tata, una certa Caterina Panzeri, giacché l’affascinante Giulia aveva già preso il volo per Parigi per vivere con il suo amante, Carlo.
In seguito, il nostro beniamino, come un pacco, viene più volte confezionato e spedito in diversi collegi.
Quando torna a vivere con Pietro, ormai è sedicenne, troppo tempo lontano dal caro padre; tra i due inizia una convivenza tutt’altro che lieta e pacifica, tant’è che Alessandro non si fa ripetere due volte l’invito di Carlo Imbonati e parte per Parigi.
Nel 1808 Sandrino convola a giuste nozze con Enrichetta Blondel. Viene nominato senatore a vita. Muore a Milano nel 1873.
Manzoni e il Romanticismo
Il pensiero manzoniano trasuda di romanticismo, soprattutto nel bisogno dello scrittore di comprendere e amare gli uomini, di mostrare le loro sofferenze, passioni, delusioni, aspirazioni.
Manzoni, attraverso i suoi scritti, si erge a baluardo della libertà e dell’indipendenza dell’amata Italia, si fa portavoce di un nuovo modo di narrare. È convinto che letteratura e arte debbano essere nazionali, storicamente vere e popolari, capaci di denunciare gli aspetti immorali e incivili e, con il genio che lo contraddistingue, per farlo utilizza un linguaggio nuovo, capace di arrivare al cuore e alla coscienza della gente.
Tra gli autori del tempo, Manzoni non si distingue per la sua prolificità letteraria: in fondo, meglio poco ma buono.
Tra le sue opere principali ricordiamo: Inni Sacri, il Conte di Carmagnola, i Promessi Sposi.
Mentre scrive quest’ultima opera, capolavoro senza ombra di dubbio, si rende conto che deve adottare una lingua nuova, vicina al popolo e accessibile a tutti.
Manzoni si sofferma sul fatto, e non da poco -e qui le nostre rimembranze storiche e scolastiche, se affiorano alla mente, ci fanno ricordare la spinosa questione legata alla lingua italiana- a giusta ragione, che le parole che escono dalla bocca dei personaggi del suo romanzo non possono appartenere a un linguaggio aulico, artefatto, desueto.
Non sarà mica che la “risciacquatura” in Arno del 1840 a cui Sandrino sottopone le pagine dei Promessi Sposi è dovuta anche a questa illuminazione riflessiva?
Di certo non ha risolto in modo definitivo la questione della lingua nostrana.
Gli si riconosce il merito di averci almeno provato e, visti i successi raggiunti nel campo della letteratura italiana e straniera, è andata a gonfie vele.
Per chi volesse approfondire, ecco dei link: