Mi rendo perfettamente conto che l’argomento di cui voglio parlare oggi è altamente scivoloso, pieno di insidie e, in un certo senso, potrebbe cadere nella retorica più spicciola che si conosca ma, ciò nonostante, è da tanto tempo che ci rifletto e mi sto accorgendo che i paralleli possibili con quanto è stato detto a noi dalle generazioni dei nostri padri e nonni non può in alcun modo essere paragonato al momento attuale.
Il confronto tra passato e presente
Da molto tempo è facile sentire qualche “anziano” pronunciare la ormai celebre frase “ai miei tempi…!” intercalandola con vari aggettivi, a seconda dell’occasione nella quale viene detta, e riconosco che, molto spesso, il sentirla mi ha creato un certo fastidio, se non addirittura un’antipatia per chi la pronunciava.
Trovatomi, quasi d’improvviso, ad essere annoverato all’interno della schiera di coloro che vengono definiti “anziani” (ognuno, poi, ha la sua cognizione personale di cosa significhi “anziano”, e ne dà un limite temporale che, spesso e volentieri, diverge molto da persona a persona) senza quasi accorgermene – credetemi quando dico che mi pare ieri che avevo 20 anni, e oggi mi ritrovo ad aver passato i 60 – mi sono soffermato a riflettere su come ho vissuto io la mia giovinezza e su come viene vissuta ai giorni nostri.
È del tutto ovvio che la sopra citata frase io me la sia sentita ripetere da nonni, zii, padri e madri ad ogni pie’ sospinto durante tutta la mia infanzia e adolescenza e, immancabilmente, ogni volta facevo spallucce, magari mandando un “vaffanculo” dentro di me per queste assurdità che mi venivano dette dai “vecchi”!!
Psicologicamente parlando, è del tutto ovvio che cambiando l’esperienza, l’età e, sopratutto, la maturità di tutti noi, le cose si possano vedere sotto un altro aspetto e le prospettive cambino di conseguenza, ma se ci fermiamo a riflettere obiettivamente – per lo meno le persone che condividono con me l’età – su quanto abbiamo passato negli anni ‘60, ’70 e ’80 ci accorgiamo immediatamente che il confronto con oggi è assolutamente impietoso.
La tecnologia e la libertà
È del tutto vero che oggi abbiamo a disposizione una tecnologia che noi, da ragazzi, ci sognavamo solo guardando qualche film di fantascienza e che, magari, ci avrebbe potuto fare comodo per velocizzare tutto quello che dovevamo fare, dai doveri scolastici, agli spostamenti, ai divertimenti e, sopratutto, alla comunicazione interpersonale, ma state pure tranquilli che, eravamo assolutamente più liberi e con una valanga di pensieri in meno di quelli che i giovani d’oggi hanno, senza ombra di dubbio.
L’esperienza delle generazioni precedenti
Facendo un passo indietro e riprendendo il discorso su quanto fosse brutto sentirselo dire dai nostri “vecchi”, vorrei analizzare in realtà quanto potesse essere vero quanto era contenuto nella ormai conosciuta frase “ai miei tempi…!”.
Infatti, se prendiamo ad esempio la classe di mio nonno, che era del 1903, ed analizziamo quello che ha passato nella sua infanzia e immediata adolescenza, diciamo fino ai 40 anni, ci accorgiamo che alla tenerissima età di 11 anni si è ritrovato immerso in un conflitto mondiale così devastante che gli ha fatto saltare a piè pari praticamente l’intera adolescenza, facendolo arrivare ai 15 anni in mezzo alla devastazione di 5 anni della più cruenta guerra che l’umanità abbia mai scatenato sulla faccia della Terra.
Ancora con i segni addosso, prima della guerra e poi della ricostruzione passata in mezzo a privazioni di ogni sorta – figuriamoci se avevano la possibilità di crescere in un modo abbastanza soddisfacente – dopo pochissimi anni si è trovato immerso nella cosiddetta Grande Depressione del ‘29 (quindi a soli 26 anni, nel pieno della sua giovinezza) che sicuramente non ha giovato a nessuno ma, soprattutto, ha portato via a moltissimi non solo i pochi soldi che erano rimasti dopo la guerra, ma anche la vita.
Passato anche questo tsunami – i suoi effetti si sono fatti sentire fino a quasi il 1935 – si è ritrovato quasi immediatamente catapultato, e questa volta in prima persona, nella seconda guerra mondiale, durata la bellezza di 6 anni e che gli ha portato via praticamente tutta quella parte di vita che avrebbe potuto utilizzare come qualsiasi 35/40 enne dovrebbe fare, ovvero divertendosi, costruendosi un futuro e una famiglia in modo più o meno spensierato.
Per godersi un briciolo di quanto era riuscito a costruire nonostante le avversità passate, ha dovuto aspettare il mezzo secolo di vita e gli anni ’50, che, nel bene e nel male, hanno delineato quella che si può chiamare “epoca d’oro” del mondo (per lo meno dell’occidente) e ha cercato di fare del suo meglio per costruire qualcosa di duraturo.
Ma ormai aveva addosso i segni di quanto gli era toccato di passare per sorte avversa.
Un’infanzia senza uguali
Se invece analizziamo quello che abbiamo passato noi, nati a cavallo degli anni ‘50/’60, sfruttando – non per nostra volontà, ma perché ci siamo ritrovati in quel frangente – quanto avevano costruito e distrutto i nostri padri e nonni, possiamo dire che abbiamo passato un’infanzia e un’adolescenza senza uguali in nessun altro periodo della storia degli ultimi 2 o 3 secoli.
La giovinezza passata e presente
Senza voler entrare nella retorica spicciola di cui sopra, non faccio fatica a ricordarmi che, in sostanza, noi ragazzi potevamo fare praticamente ciò che volevamo – sempre rispettando le indicazioni genitoriali – divertendoci in pratica con nulla, stando insieme a tutti i nostri coetanei, ridendo e scherzando di continuo e andando alla conquista di un mondo che, ai nostri occhi, appariva misterioso, meraviglioso e, cosa ancora più importante, completamente nostro.
Le attività della giovinezza passata
Non entro nell’esposizione dei singoli fatti, ma basti pensare che per noi 15enni l’andare in discoteca – rigorosamente la domenica pomeriggio – era una cosa che pianificavamo anche per un mese intero, cercando di racimolare quei pochi spiccioli che ci avrebbero aperto le porte dei “palazzi delle meraviglie” per quelle 3 o 4 ore di sano divertimento alla ricerca di qualche avventura con una misteriosa sconosciuta.
È altresì ovvio che quei palazzi delle meraviglie non fossero poi dei così bei palazzi e non contenessero poi così tante meraviglie, ma a noi erano sufficienti e, come sempre, poi ci raccontavamo le passate avventure fra risatine e immancabili esagerazioni rispetto a ciò che, magari, era realmente accaduto.
In ogni caso, mi ritrovo anche oggi a guardare i vari ciclisti che se ne vanno in giro sulle loro costosissime biciclette, fasciati da tutine aderentissime degne di un astronauta, riparati dai loro ridicoli caschetti saldamente allacciati sotto al mento e con le loro scarpette chiodate, nemmeno dovessero correre il Giro d’Italia, mentre noi ce ne andavamo in giro sulle nostre Graziella, magari in ciabatte da mare, con i capelli al vento e con i nostri antidiluviani “mangiadischi” che gracchiavano qualche canzone di Battisti o di Mina, che immancabilmente dissacravamo a squarciagola facendoci sentire per tutte le campagne circostanti.
Ma la cosa importante è che ci divertivamo a più non posso, senza preoccuparci nemmeno più di tanto se, magari, ci sbucciavamo le ginocchia in qualche caduta, che immancabilmente capitava più o meno a tutti quanti noi (l’unica preoccupazione che avevamo, in questi casi, era quella di non farci scoprire da nostra madre per evitare di prenderci qualche ceffone, proprio perché ci eravamo fatti male).
La giovinezza attuale
Oggi è diverso!
Oggi non è più così!
Mi rendo conto sempre di più che i giovani d’oggi (dai 15 ai 30 anni) hanno praticamente tutto quello che possono desiderare, delle attrezzature tecnologiche con le quali, se vogliono, possono parlare e vedersi con tutto il mondo, hanno le più sofisticate attrezzature per fare qualsiasi cosa gli salti in mente e, soprattutto – per dei motivi che dovrebbero essere analizzati molto in profondità – possono disporre di più denaro di quanto noi ragazzi avremmo mai potuto disporre nemmeno in un anno intero (anche facendo i rapporti dei valori di allora con quelli attuali).
A questo proposito vorrei ricordare che, personalmente, a 13 anni io ricevevo da mio padre una paghetta settimanale di 300 lire con le quali, a fatica, tanto per fare un paragone, potevo comprarmi un pacchetto di nazionali senza filtro o, nel settore alimentare, potevo comprarmi 6 coni gelato da 50 lire l’uno o 3 da 100.
Oggi sento dire a ragazzi della mia stessa età – dell’epoca – che ricevono anche 50 euro a settimana (ovviamente nelle famiglie che hanno un reddito medio e non in una famiglia con tutti e due i genitori disoccupati, cosa che c’era anche ai miei tempi) oltre ad avere ricevuto, magari a 11 anni o anche prima, il loro cellulare, con il quale possono fare realmente ciò che vogliono, ma con il quale, in realtà, non ci fanno assolutamente nulla se non disperdere il loro tempo in inutili “ciance” su quello che ha fatto il loro idolo preferito il giorno prima.
L’isolamento e la disperazione che leggo negli occhi di tutti questi ragazzi, gettati allo sbando da una società incapace di “capire” i profondi sconvolgimenti che la tecnologia moderna può portare se applicata in maniera errata, è una cosa che mi lascia realmente devastato e mi fa comprendere pienamente quanto io e i miei coetanei siamo in fondo stati fortunati a vivere il nostro periodo.
La mancanza della libertà
Quello che voglio dire è che nel bagaglio di esperienze che mi porto appresso – belle, brutte e anche dolorose – non ci sarà mai la sensazione di rimpianto per qualcosa di non fatto o, peggio ancora, non sarò mai costretto a dire “aah, se solo avessi avuto questo o quello…!”.
Tutte le volte che mi capita di salire su un mezzo pubblico, che sia un autobus o un treno o anche un aereo, la prima cosa che noto con un nodo allo stomaco, è un interminabile numero di zombie completamente immersi ed assorbiti dall’oggetto magico che stringono convulsamente fra le mani: il loro smartphone.
E ne sono prigionieri!!
In conclusione come mi ha detto un mio amico proprio oggi, quello che manca oggi, in modo del tutto evidente, è una sola cosa: la libertà!