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Stalin. Ha perso, anche se ha vinto

I grandi genocidi dimenticati

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Da questa settimana, ogni sabato uscirà su Giornalismo Libero un articolo dedicato ai grandi genocidi dimenticati della storia umana, sia come monito alla memoria collettiva per non dimenticare, sia per far comprendere come, ai giorni nostri, siamo irrimediabilmente sottoposti a un ricatto mentale e psicologico da quei poteri che hanno deciso unilateralmente cosa sia giusto, cosa sia sbagliato e quello che si debba ricordare piuttosto che dimenticare, al solo scopo di perpetuare il proprio potere indiscusso.

Per quanto riguarda il più famoso o famigerato, che dir si voglia, genocidio della storia, ovvero l’Olocausto – così hanno voluto etichettarlo i detentori del nuovo potere – della Seconda Guerra Mondiale, per il fatto che in Italia, dal 2018, è stata modificata la legge 21 del 1° marzo 2018, art. 604 bis, con la quale si sancisce il concetto che il solo parlare della Shoah in modo critico, teso a ridimensionare i dati proposti dalla propaganda post-bellica, costituisce un reato di tipo penale. Tale argomento verrà trattato solo con un’indicazione a un link che riporta a uno studio di Thomas Dalton, nel quale chi lo volesse potrà farsi un’idea più approfondita di alcuni dati oggettivi inerenti a tale evento.

Tutto questo per non correre il rischio di essere oscurati dalla censura, con grave danno di immagine e lavorativo.

IL GENOCIDIO PIANIFICATO DA POL POT IN CAMBOGIA

La Cambogia, insieme al Laos, al Vietnam, alla Birmania, alla Thailandia e alla Malaysia peninsulare, fa parte di quella che si chiama Indocina, dove fin dal primo dopoguerra la Francia e non solo ha iniziato a portare avanti una guerra di occupazione che ha devastato l’intero continente nei successivi 40 anni, insieme, onor del vero, a Stati Uniti, Cina e successivamente anche Russia.

Nel 1973, gli Stati Uniti cessarono le velleità conquistatrici sul Vietnam, iniziando a ritirare tutte le truppe presenti sul territorio, cosa che terminò definitivamente con l’anno 1975. Dopo aver lasciato sul terreno quasi 60.000 soldati, più un numero impressionante di attrezzature militari e di soldi sperperati per degli obiettivi assolutamente non condivisibili, se ne andarono lasciando macerie dietro di sé e una regione altamente destabilizzata.

Sulla scia di questa destabilizzazione, i vicini del Vietnam, ovvero i Cambogiani, che erano fra le altre cose stati pesantemente coinvolti prima dai francesi e poi dagli stessi americani, iniziarono a fare i conti con frange di irriducibili comunisti sfollati nelle giungle per non essere catturati dai collaborazionisti occidentali.

Fra questi c’erano i famigerati “Grandi Fratelli”, un gruppo della futura dirigenza dei Khmer Rossi, fra i quali occorre menzionare i principali artefici delle successive pianificazioni relative al genocidio: nell’ordine, Pol Pot, Duch, Ieng Sary, Son Sen, Hou Youn, Hu Nim e Khieu Samphan.

Questi loschi figuri, per essere gentili nella definizione di chi realmente erano – leggendo l’intera cronistoria, il mio parere personale è che fossero poco più che bestie, perdipiù crudeli ogni oltre concezione – si erano formati un po’ in Francia, nei circoli comunisti nascenti, e sulle ideologie di Jean-Paul Sartre, marxista della prima ora, un po’ copiando le gesta del vicino Mao e della sua ormai famosa collettivizzazione del popolo, e ulteriormente violentemente contrari al modello che l’Occidente voleva imporre in quelle lande desolate dell’Indocina.

Con gli inizi del 1975, e precisamente nel mese di aprile, questi “cani sciolti” sollevarono il personale esercito dei Khmer Rossi contro l’establishment del sovrano Norodom Sihanouk, che immediatamente abdicò. Sotto la neonata Kampuchea Democratica, partito al cui capo c’era proprio Pol Pot, iniziarono un regime di terrore, torture e uccisioni che durò fino a tutto il 1979, anno nel quale vennero rovesciati dall’esercito nord vietnamita durante la guerra cambogiano-vietnamita.

Forti di ideologie repressive e totalmente privi di alcun tipo di morale o di pietà umana, alla guida di circa 60.000 soldati speciali reclutati fra i più giovani guerriglieri dei Khmer Rossi – molti di questi erano ragazzini poco sopra i 13 o 15 anni – vollero imporre alla popolazione cambogiana uno stereotipo di vita collettivizzata, sulle orme del Grande Balzo in Avanti preconizzato da quell’altro delinquente che rispondeva al nome di Mao Zedong.

E fin da subito iniziarono le stragi di massa, in quanto i militari dei Khmer Rossi entravano nelle città, deportando l’intera popolazione nelle campagne vicine e nei lager appositamente costruiti. Famigerato era il campo S-21, guidato proprio da Duch, dove i perseguitati venivano soppressi nei modi più disumani possibili. Addirittura ci sono testimonianze di bambini uccisi sbattendoli sugli alberi o sulle pietre, o uccisi a colpi di piccone, zappe o coltelli per risparmiare pallottole, dove purtroppo spesso e volentieri non arrivavano vivi.

La discriminazione messa in atto era delle più terribili, in quanto, secondo il loro modo di vedere, anche se indossavi un paio di occhiali o avevi le mani troppo pulite, venivi considerato un intellettuale e, di conseguenza, o internato o ucciso direttamente sul posto dove ti avevano trovato.

Questa storia, fra alterne vicende, andò avanti, come detto, fino a quando l’esercito nord vietnamita non rovesciò il potere di questi macellai, tentando di ripristinare un minimo di democrazia o, perlomeno, di ordine civile, cosa che purtroppo non è riuscita per molto tempo.

In tutta questa immane carneficina si possono identificare delle precise connivenze e responsabilità, in quanto da una parte Mao non solo appoggiò personalmente Pol Pot nel suo disegno criminale, ma lo finanziò pure con una marea di soldi.

Solo nel 1975, finanziò i Khmer Rossi con oltre un miliardo di dollari americani e ingenti invii di armamenti militari, che di fatto permisero ai “Grandi Fratelli” di procedere nei loro intenti criminali, disintegrando nella sostanza un’intera nazione, sia nel presente che nel mezzo secolo successivo, con gli strascichi di tutto ciò.

Non da meno devono essere considerate le influenze nefaste della ideologia marxista distorta, sull’onda degli insegnamenti ricevuti da Sartre e da altri pensatori occidentali, nonché della destabilizzazione della regione guidata e provocata dall’intervento proditorio degli USA e della Francia in tutta la regione, per oltre 30 anni.

Per capire la intricata vicenda cambogiana, basta sapere che moltissimi degli autori dei massacri perpetrati in quegli anni, ancora fino alla fine del millennio, ricoprivano cariche istituzionali di assoluto rilievo, come il primo ministro Hun Sen, che fin da quando aveva 20 anni entrò a far parte delle forze di occupazione Khmer.

Dei principali responsabili, dopo innumerevoli processi pubblici e dopo oltre 10 anni di dibattimenti, solo 3 vennero condannati, fra i quali Duch all’ergastolo, mentre il principale pianificatore del genocidio, Pol Pot, morì nella giungla, forse suicida o forse avvelenato dai suoi stessi compagni.

Le conseguenze sul piano umano di questo inenarrabile genocidio sono state oggetto di innumerevoli studi e computazioni, che oscillano fra i 3,3 milioni di morti denunciati dal governo vietnamita e il 1,2 milioni dichiarato dal Dipartimento di Stato degli USA. Ma anche se non avremo mai contezza esatta di quante vittime ci furono in quei terribili 4 anni, si può azzardare l’ipotesi che, con molta probabilità, la cifra indicata dai vietnamiti è quella che si avvicina maggiormente alla verità, anche se, a parer mio, per difetto.

Infatti, se partiamo dai 4,7 milioni indicati nella popolazione totale della Cambogia del 1960 – Enciclopedia Britannica – e aggiungiamo un tasso di natalità di 2,5, aggiungendo che all’alba della presa del potere da parte dei Khmer Rossi la popolazione del paese oscillava fra i 7,5 e gli 8 milioni di anime, e considerando che nel 1980 la popolazione totale si assestava a 6,199 milioni, è facile desumere una stima abbastanza realistica.

Bisogna tener presente che, nonostante la repressione ideologica e militare dei Khmer, durante i 4 anni della dittatura di Pol Pot, la popolazione continuava a procreare sempre al ritmo di 2,5 per donna; per cui, partendo dagli 8 milioni del 1975, si può facilmente ipotizzare che siano nati perlomeno 600 o 700 mila persone, che debbono essere sommati agli 8 milioni iniziali.

Se alla fine ne risultavano 6,2 milioni, la conclusione è abbastanza semplice: il risultato di 2,5 milioni di morti, dovuti alle uccisioni piuttosto che alla malnutrizione o alle malattie, è del tutto plausibile, e a questo immenso numero si dovrebbero aggiungere anche quelle parti di popolazione che sono rientrate dopo la deposizione del regime dittatoriale.

Ad ogni buon conto, quello che fa maggiormente specie in tutta questa orribile vicenda è il silenzio assordante di tutto l’Occidente durante i successivi 50 anni, silenzio che molto spesso è servito per coprire e seppellire sotto chilometri di omertà delinquenziale i ruoli svolti in tale vicenda dalle cosiddette “democrazie occidentali”, sempre pronte a tirarsi indietro quando giunge l’ora dell’individuazione delle responsabilità oggettive.

Fino a quando non capiremo che la strada da perseguire è solo quella della cancellazione dalla faccia della terra di tutte le armi e, soprattutto, del tentativo di modificare radicalmente il pensiero della popolazione umana attraverso l’istruzione e la cultura, i risultati potranno essere solo questi, o peggio ancora quelli che abbiamo sotto gli occhi oggigiorno in diverse parti del mondo.

Ucraina e Gaza docet.

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