Ho già avuto modo recentemente di parlare dei nuovi dazi americani verso l’Europa e verso tutto il mondo, con una particolare attenzione per il nostro paese, rimarcando il fatto che, come al solito, i nostri giornalisti – o meglio, giornalai – e politici vari, con infiniti striduli urletti da prime donne, fanno del classico topolino una vetta montana irraggiungibile.
Nelle ultime due settimane ci sono state letteralmente centinaia di trasmissioni televisive, articoli di giornali, editoriali e riunioni di governo eccezionali, convocate d’urgenza dalla nanerottola bionda, per affrontare la mossa politico-economica del ciuffo biondo Donald Trump, urlando all’incendio devastante quando, in effetti, è un semplice fuocherello da campeggio.
La Reazione degli Analisti Economici
La cosa che mi stupisce maggiormente è che fior di analisti economici si stiano aggregando a questo generale piagnisteo, scordandosi unilateralmente di quelli che sono i dogmi fondamentali dell’economia reale e sostanzialmente delle regole alla base di ogni commercio degno di questo nome.
E per questo vorrei fare un briciolo di chiarezza attraverso lo strumento che, come in ogni evenienza, può dissipare qualsiasi dubbio si possa generare nelle menti dei lettori: i numeri.
La Bilancia Commerciale Italiana
L’Italia nel 2024 si è posizionata a livello di esportazioni nel mondo al sesto posto, con i suoi 623 miliardi di dollari, pari al 2,9% di quota di mercato generale (per rendersi conto a livello macro, tale cifra corrisponde all’incirca a un terzo del nostro PIL totale), 67 dei quali vengono destinati al mercato USA, prevalentemente composti da generi agroalimentari, moda, componentistica e anche automotive.
Per contro, importiamo dal resto del mondo circa 568 miliardi di dollari, pari al 2,7% di quota di mercato – 12° posto al mondo – di cui 25 miliardi provengono dagli USA, il che ci porta ad avere un surplus commerciale – differenza positiva fra import ed export – di circa 55 miliardi di dollari, che equivalgono in termini percentuali al 9% circa.
L’Impatto dei Dazi
Attraverso questi semplicissimi numeri relativi alla nostra bilancia commerciale con il resto del mondo, si evince facilmente che gli Stati Uniti pesano su di essa per esattamente il 10% del totale (67 su 623). Inoltre, ci rassicura il fatto che gli vendiamo molto di più di quanto comperiamo da loro, dandoci un potere di trattativa realmente forte.
Altro fattore da considerare è il fatto che la maggior parte dei prodotti che noi vendiamo negli Stati Uniti sono relativamente impattanti sull’effettivo consumo della maggior parte della popolazione americana, in quanto si parla di specialità agroalimentari come i vini, gli spumanti, i formaggi e salumi, la moda d’alto livello e, in genere, tutte le nostre eccellenze che, per il solo motivo di essere “particolari”, vanno a comporre il carrello della spesa di una tipologia di clientela medio-alta che si può tranquillamente permettere un aumento del 10 o del 15% del costo, determinato da questi famosi o famigerati dazi.
La Falsa Emergenza
Venendo appunto a questa colossale falsa emergenza, gonfiata ad arte da tutti i media nazionali, nonché dai nostri incapaci politici, abbiamo saputo ieri sera che Trump ha imposto all’Europa dei dazi in ragione del 20% e, per quanto riguarda il comparto dell’auto, si parla di un 25% (nel prossimo futuro si ipotizza che tali dazi verranno estesi anche al comparto della componentistica dell’automotive) per controbattere, a sua detta, i decenni di comportamento scorretto dei paesi europei nei confronti del suo paese.
Ora, quale sarà l’impatto negativo o, per meglio dire, il calo che si determinerà nelle vendite verso gli USA in conseguenza di questi dazi imposti? È un calcolo che nessuno al mondo può eseguire con precisione e si possono solo ipotizzare delle cifre che, sempre e comunque, andranno ad impattare con quella che è la realtà del commercio.
La Complessità del Mercato
Contrariamente a quanto appena detto, in questi giorni sento girare delle cifre che non hanno alcun senso e che vengono sparate a caso dai più improbabili economisti dell’ultima ora, i quali non si rendono minimamente conto che riuscire a determinare il comportamento di un mercato è forse l’azione più complessa che possa esistere al mondo.
In ogni caso, anche se il nostro export verso gli USA dovesse subire una flessione del 10% (ho sentito pseudo-analisti uscirsene con cifre superiori al 25% e mi piacerebbe veramente sapere sulla base di quali strampalati calcoli estraggono simili cifre), ciò si tramuterebbe in soldoni in un calo delle esportazioni di circa 6 o 7 miliardi di dollari all’anno. Di conseguenza, il gap da dover recuperare è estremamente ridotto.
Le Prospettive Future
In numeri assoluti si parla di circa il 3% del nostro intero PIL, e non penso che una tale flessione – del tutto funzionale ed estemporanea, dato che, come sempre, il “mercato” ha delle sue precise regole che non possono assolutamente essere studiate né regolate con assoluta precisione, ma seguono delle dinamiche totalmente imprevedibili – non possa avere alcun impatto inflazionistico, come paventato dalle “donnette starnazzanti” di cui sopra.
Il problema è che avremo un calo di 6 o 7 miliardi di dollari nelle vendite sul mercato USA? Bene, rimbocchiamoci le maniche e attiviamo tutti i canali possibili per deviare le nostre vendite verso altri paesi che possano assorbire questa leggerissima flessione nelle vendite, come qualsiasi azienda sul mercato interno o internazionale fa da sempre.
Vorrei ricordare a tutti quanti che la popolazione americana assomma a circa 350 milioni di potenziali consumatori e nel resto del mondo ci sono la bellezza di altri 7,7 miliardi di possibili nuovi acquirenti che non vedono l’ora di assaggiare le nostre eccellenze. Pertanto, sarebbe il caso che i nostri politici la smettessero di gridare al lupo al lupo, come il classico pastorello spaurito, e iniziassero a darsi da fare per procurare altri sbocchi alla nostra produzione nazionale.
Conclusione
In conclusione, quello che dovremo fare, una volta tanto, è avere una maggior consapevolezza delle nostre capacità e, invece di continuare a ripetere come un mantra che noi abbiamo le eccellenze italiane ambite in tutto il mondo solo a parole, iniziare a credere realmente in tali eccellenze e, soprattutto, nella nostra capacità secolare di primeggiare – come dimostrato dai dati macroeconomici – sempre e comunque.
L’ho detto più e più volte e non mi stancherò mai di ripeterlo: purtroppo, il nostro maggior problema è quello di avere una classe politica e dirigenziale assolutamente improvvisata e non all’altezza dei compiti che gli si parano di fronte continuamente. Fino a quando la situazione resterà in questo modo, saremo sempre di fronte al fuocherello di un barbecue che viene scambiato per un incendio devastante. Facile previsione: rientrerà tutto nell’arco massimo di sei mesi.
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