i rimedi
Quando i medicinali per la maggioranza della povera gente erano utopia, o peggio non erano ancora stati inventati, come curavano le persone i loro acciacchi? Quali erano i rimedi disponibili?
Saverio La Sorsa nel suo saggio “Alberi piante ed erbe medicinali nella tradizione popolare italiana” scrive: “Da molti anni ho attinto dalla viva voce di pastori e di contadini, di donnicciuole e di medici, notizie intorno alla terapia popolare, ed ho spigolato da riviste altre cognizioni di cui ho fatto tesoro per le mie osservazioni”. Lo scrittore continua: “È notorio che il punto di partenza della farmacologia d’ogni tempo è stata ed è la conoscenza e lo sfruttamento dei principi attivi di quelle droghe e di quelle piante, che furono dette, perciò medicinali.
Il contadino, il popolano, che non conoscono storte né alambicchi, usano le piante nella loro integrità, e per lo più a proposito. Non c’è famiglia, in campagna, che non abbia la sua brava provvista di camomilla, di malva, di capelvenere, di fiori di sambuco, di semi di finocchio, di capi di papavero, di agli, ecc.”.
Le nostre nonne e, prima ancora, le loro mamme, hanno usato erbe, piante, frutti per curare o lenire ferite, piaghe o altre forme di malanni. Vediamo alcuni di questi rimedi di “medicina domestica”.
Molto singolare l’uso del tabacco, considerato “erba santa” e usato per curare il mal di denti, l’emicrania, le piaghe e la gotta.
Per eliminare l’acidità di stomaco si usava masticare lentamente qualche fava cruda. Un preparato a base di fave veniva usato per eliminare l’ernia. La fava era ritenuta anche afrodisiaca: a tale credenza è legato il detto popolare “pigghiate lu maritu miu ca se nfavatu”; probabile che questo modo di dire sia riferito non solo alle proprietà “eccitanti” attribuite al legume, ma anche al fatto che, dopo aver mangiato un bel piatto di fave preparato dalla brava moglie, l’uomo aveva sufficiente energia per essere assunto nel duro lavoro dei campi.
Ancora oggi, dalle mie parti, nel Salento, si consiglia di masticare 4/5 fave crude in caso di acidità di stomaco.
Per impedire alla memoria di perdere colpi, si usava preparare una bevanda a base di rosmarino, da bere rigorosamente a digiuno.
E che dire del prezioso aglio, antibiotico naturale, usato dalle mamme per eliminare i vermi intestinali dei loro piccini? Ancora oggi lo spicchio di aglio viene tagliato e sfregato sulla zona della pelle arrossata dalla puntura d’insetto.
E in caso di distorsioni o fratture, quando le moderne ingessature non avevano fatto capolino nella mente umana? Niente paura, vi era la “stuppata”, un preparato a base di albume di uovo, zucchero e lana; le donne che lo preparavano si chiamavano “stumpate”.
Queste grandi maestre del fai da te facevano montare a neve l’albume d’uovo con lo zucchero, e nel composto vi aprivano della lana, amalgamando il tutto per bene. Le stumpate coprivano la parte dolente del malcapitato con tale amalgama e lo fasciavano ben stretto con delle garze.
Il composto, dopo alcune ore, induriva e fungeva da ingessatura, da tenere almeno per una settimana.
Cosa consigliavano le nonne in caso di “orzaiolo”? Quando la palpebra dell’occhio si infiammava, bastava appoggiare l’occhio alla bocca della bottiglia di olio di oliva, o anche applicare per 2/3 volte al dì una bustina bagnata di camomilla.
Conclusioni
Alla luce delle nostre attuali conoscenze medico-scientifiche, i rimedi del passato potremmo trovarli strampalati, e scappa un mezzo sorriso, ma erano le uniche cure disponibili per dare sollievo al sofferente.
Personalmente, alcuni li trovo veramente originali e, come dicevano i latini: mater artium necessitas.