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Stalin. Ha perso, anche se ha vinto
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Ammettiamo le nostre responsabilitá

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Una panoramica generale delle anomalie italiane, per riflettere insieme.

È la guerra. Una guerra che si svolge sul campo di battaglia di tutti i media italiani. Non si tratta della solita guerra neocolonialista per il controllo delle risorse, ma una vera e propria bufera che si scatena in questi giorni tra le parti sociali che “giocano” al tiro alla corda per trattenere ognuna i propri diritti e privilegi in merito al mondo del lavoro.

Di informazione, disinformazione e controinformazione a riguardo ne viene fatta fin troppa, ed è giusto e legittimo che in un paese democratico gli occhi dell’opinione pubblica siano puntati tutti in un’unica direzione quando si tratta di avvenimenti che, nel bene o nel male, andranno ad influenzare e modificare la vita quotidiana di tutti.

Riforma del lavoro sì? Riforma del lavoro no?

Lasciamo pure che la discussione continui ad inondare le testate di tutti i giornali, ma non sarà questo il nostro caso.

L’analisi che, forse, dovrebbe essere più opportuna è un’altra, per risalire alla base dei problemi che ci hanno portato, ad oggi, a sentire la “questione” Italia come una situazione di emergenza che necessita di essere risolta nel più breve tempo possibile. Se è vero che il macrosistema non ha presupposti per esistere senza le piccole realtà, e potendo notare in maniera palese l’iniquità della politica, soprattutto negli ultimi 30 anni, non possiamo supporre che gli ingranaggi del sistema Italia possano essere oliati dall’alto di un governo, tecnico o politico che sia, che, per quanto efficiente, da solo non riuscirà mai a far ripartire la macchina del welfare.

Se è altrettanto vero che la politica è corrotta, che i bisogni e gli interessi dei cittadini vengono sempre meno messi all’ordine del giorno (anche laddove essi si esprimano secondo le modalità previste dalla nostra Costituzione), allora la conclusione logica non può essere in alcun modo quella che “tanto, prima o poi, arriverà qualcuno a rimettere ordine”, che sia calato dall’alto o insediato per acclamazione. Ricordiamoci che questo meccanismo mentale è lo stesso che ha dato adito di svilupparsi alle peggiori degenerazioni della politica e dello Stato. Da che esiste la Repubblica Italiana, il sistema democratico della rappresentazione e dei partiti, nel corso degli anni, ha sempre ceduto sotto il peso delle infiltrazioni esterne e degli interessi personali, rivelando le proprie falle.

Come abbiamo potuto pensare, quasi trenta anni fa, che per sopprimere un sistema politico corrotto fin dalle fondamenta (una corruzione, peraltro, talmente diffusa che veniva, ricordiamolo, considerata un costume e non come un’anomalia, citando proprio Bettino Craxi) potesse cambiare radicalmente, semplicemente cambiando simboli e volti, ma lasciando inalterata l’impalcatura che aveva appena ceduto?

Negli anni di Tangentopoli fu la magistratura a scoprire le “magagne”, e l’opinione pubblica esplose. La differenza, oggi, è che il fango è sotto gli occhi di tutti, e nessuno sembra più avere un potere effettivo per procedere e punire tali comportamenti.

Così come la Storia è fatta di corsi e ricorsi, è pur vero che si impara dagli errori del passato. Questo, però, sembra valere soltanto per chi è stato già beccato con le mani nel sacco e, nel frattempo, si è specializzato, stando molto più accorto per evitare di pagare le conseguenze qualora fosse colto nuovamente in flagrante, ricorrendo a stratagemmi più o meno leciti.

Tutti si lamentano e, nello stesso tempo, la frustrazione dilaga, dal momento che nessuno sembra essere più legittimato a rivendicare persino i diritti costituzionalmente riconosciuti. Così, infine, si opta semplicemente per non fare niente, tanto “è sempre stato così”. Niente in contrario: stando al principio dell’autodeterminazione dei popoli, effettivamente, non facciamo che continuare a legittimare un sistema politico (ma anche sociale) marcio fin dalle fondamenta. Arrendersi non è altro che riconoscere la vittoria del proprio avversario, che si accetta incontrastatamente proprio al momento della resa.

Allora, la domanda sorge spontanea: perché ognuno è in grado di lamentarsi di quello che viene deciso sulla propria testa, ma nessuno sembra accorgersi che questo meccanismo non è proprio soltanto della politica, ma di uno stile di vita tutto italiano? Se siamo d’accordo con quanto scritto sopra, dobbiamo analizzare il problema dalla base, ovvero partendo dai comportamenti dei singoli cittadini che originano, conseguentemente, anomalie a livello nazionale. Il sillogismo è meno complicato da comprendere facendo degli esempi pratici.

Ammettiamo, per ipotesi, che alcuni politici siano collusi, concussi, corrotti dalle mafie. Sarebbe sufficiente dismettere dalle proprie cariche i politici in questione? Succederebbe che altri arriverebbero a prendere il loro posto, con il rischio che anch’essi perpetuino gli stessi comportamenti dei precedenti (ma imparando dagli errori passati, a meno che non siano completamente imbranati), dando, così, opportunità alle organizzazioni mafiose di migliorare il proprio modus operandi, specializzandosi nel divenire sempre più invisibili ed inafferrabili, cambiando i nomi e i volti dei propri fantocci allorquando divengano “scomodi” agli occhi dell’opinione pubblica.

Non sarebbe, invece, più sensato che i cittadini uscissero insieme dall’omertà, denunciando le illegalità e gli abusi subiti, a costo di assumersi le proprie conseguenze? Dal momento che le leggi prevedono di punire determinati comportamenti, questo sarebbe un atto rivoluzionario, dal momento che godiamo, nel nostro paese, di un principio meraviglioso come quello dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Questo è soltanto uno degli innumerevoli esempi che si potrebbero fare in merito al rapporto politica-cittadino, ma si può fare la stessa cosa denunciando illegalità nel mondo del lavoro, in materia fiscale, e quant’altro.

Non è così sbagliato asserire che l’evasore è un parassita della società, soprattutto se pensiamo che, per ogni somma evasa, la pressione fiscale si intensifica e si aggrava sulle spalle degli onesti che le tasse le pagano, conseguenza abbastanza ovvia, dal momento che, se lo Stato prevede una determinata entrata derivante dal gettito fiscale che, invece, si rivela minore, non potrà attuare tutti i servizi che aveva previsto. A quel punto o aumenterà la pressione fiscale su chi paga le tasse, oppure ci rimetteremo tutti in termini di beni e servizi forniti dallo stato (certo, quando poi si finanzia l’invio di armi a paesi terzi a carico dei contribuenti, e i servizi e le strade colano a picco, allora sì, che va fatta una riflessione abbastanza diversa…!!!).

Prendiamo nuovamente ad esempio quello che sta avvenendo oggi per quanto riguarda il mondo del lavoro.

I lavoratori rivendicano a gran voce i propri diritti, troppo spesso disinteressandosi, però, delle sorti della propria azienda e, altrettanto spesso, prendendosi delle “libertà” non legittime che, addirittura, la danneggiano nel momento in cui non vengono tenuti sotto controllo. Come si può pretendere che un’azienda sia costretta, per legge, a mantenere nel proprio organico un lavoratore che non svolge il proprio lavoro e, anzi, si disinteressa di lei, avendo come unico obbiettivo la propria busta paga, sentendosi un privilegiato, quando ci sono persone che credono nel proprio lavoro e partecipano attivamente perché la propria azienda funzioni?

Le aziende, d’altra parte, rivendicano maggiori libertà di intervento sul proprio organico laddove sia in difficoltà economiche o si accorge di alcune irregolarità commesse dai propri dipendenti. Ma come può, un lavoratore, credere nella propria azienda quando (come spesso succede) essa ha come unico obbiettivo i propri introiti, utilizzando i lavoratori a questo unico fine, sentendosi libera di deciderne le sorti in maniera del tutto unilaterale? Come può pensare di amare il proprio lavoro un dipendente il cui capo (che dovrebbe essergli d’esempio), per risparmiare, fattura in nero, evade le tasse, taglia personale e, a volte, nemmeno applica le norme vigenti per la sicurezza dei propri lavoratori?

Torniamo, quindi, alla battaglia che infuria sul mercato del lavoro: personalmente non vedo, nei vertici delle parti sociali, due entità che collaborano e si accordano per raggiungere un obbiettivo che, in fondo, dovrebbe essere comune, bensì due armate che si fanno la guerra per rivendicare i propri privilegi a scapito dell’altro (anche se pare proprio che, ultimamente, il gioco sia comune, e sempre al ribasso per le categorie più esposte, come scrissi in questo articolo: https://giornalismolibero.com/la-triade-dei-piu-beceri-traditori/).

Per quante riforme si possano applicare, finché i lavoratori non si metteranno in testa che la propria busta paga e la sicurezza del proprio posto dipenderanno dall’andamento della produttività dell’azienda, e le aziende non comprenderanno che il lavoratore non è una macchina, ma che ha bisogno di trovare la motivazione per svolgere bene le proprie mansioni, vedendo riconosciuta la sua sfera umana, non andremo da nessuna parte, quali che siano le regole.

La codardia e l’incapacità di guardare oltre il proprio orticello sono i semi italiani di tutti i mali che ci affliggono.

Nessuno è disposto a rischiare personalmente, ad assumersi le conseguenze di quello che sarebbe considerato un atto coraggioso. Indignarsi è un diritto fondamentale, in una democrazia, ma non basta: bisogna essere disposti ad assumersi le conseguenze personali che comporta l’espressione democratica, altrimenti la nostra costituzione diventa semplicemente l’ennesima bandiera che vogliamo imporre al prossimo per far valere i nostri diritti, ma desumendo ogni responsabilità che il dovere civico comporta. Questo non è possibile, poiché l’unica conseguenza logica che questo tipo di atteggiamento porta è quello che abbiamo sotto i nostri occhi ogni giorno, ovvero un sistema diffuso in cui ognuno cerca di prevaricare il prossimo con ogni mezzo, per non soccombere nella giungla della furbizia e dell’immoralità se non, addirittura, dell’illegalità. Abbiamo proseguito su questo sentiero della comodità, del “tanto ci penserà qualcun altro al posto mio”, dell’irresponsabilità, che uscirne adesso comporterebbe molti più sacrifici che in passato. È probabile che se un lavoratore denunciasse l’irregolarità delle sue condizioni di lavoro, o delle condizioni contrattuali, rischierebbe il posto. Se un cittadino vede o subisce un abuso, e lo denuncia, specialmente per quello che riguarda la malavita organizzata, potrebbe rischiare molto di più. Ma questo è necessario se vogliamo lasciare ai nostri figli un Italia migliore.

Non ci sono scorciatoie, non potrebbero bastare tutte le riforme, le regole e le leggi del mondo ad attuare un cambiamento che solo la coscienza dei singoli può far accadere.

Paolo Borsellino e Giovanni Falcone si rivolterebbero nella tomba se sapessero che sono diventati l’ennesima bandiera delle lamentazioni di piazza e che sono veramente pochi, ad essere ottimisti, quelli che ne hanno fatto un esempio da seguire e un modello di vita. Essi sapevano a cosa andavano incontro, avevano paura, ma questo non li ha fermati…

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