Dal calo dell’affluenza alla nascita di una consapevolezza
L’affluenza alle urne in Italia continua a diminuire in modo strutturale. Nelle regionali 2025, la Toscana si è fermata al 47,73 %, la Calabria al 52 %, le Marche poco sopra il 40 %. È il segno di un mutamento profondo: la popolazione non riconosce più nel voto uno strumento di autodeterminazione, ma un rituale di legittimazione di un potere che non la rappresenta.
La retorica ufficiale parla di “crisi della democrazia”, ma forse siamo di fronte al suo contrario: una reazione di coscienza collettiva. Gli elettori non disertano i seggi per indifferenza, bensì per rigetto. È un “no” silenzioso ma netto al teatrino politico-mediatico che da anni simula pluralismo, mentre applica le stesse politiche di fondo, decise altrove.
L’astensione come atto politico: il rifiuto del gioco truccato
Quando metà del Paese non vota, non si tratta di abulia, ma di lucidità. L’astensionismo in Italia è diventato un gesto politico, un modo per dire: non partecipo più a un sistema che mi chiede il consenso ma non mi dà rappresentanza.
I cittadini non si riconoscono più in un meccanismo in cui il potere resta invariato, qualunque sia l’esito delle urne. Da sinistra a destra, da tecnocrati a populisti, la differenza è ormai solo estetica. Le scelte strategiche – economiche, militari, sanitarie, finanziarie – vengono prese in circuiti decisionali distanti dal popolo e impermeabili al voto.
Rinunciare al voto diventa allora un atto di delegittimazione consapevole. È il popolo che, tacendo, sottrae la propria energia simbolica a un’istituzione che vive di finzione democratica.
Il fallimento della rappresentanza e la nascita della disintermediazione politica
La delegittimazione politica che ne deriva non è patologica, ma fisiologica. È il segnale che un modello di rappresentanza novecentesco sta morendo, e che nuove forme di aggregazione sociale stanno emergendo fuori dai partiti, fuori dai parlamenti, fuori dalle logiche del potere verticale.
Le comunità si organizzano in reti, progetti, movimenti locali e digitali, spesso senza leader e senza simboli. È la disintermediazione politica: la volontà di rimuovere l’intermediario che ha trasformato la volontà popolare in un business di consenso.
Il cittadino contemporaneo non è più il votante disciplinato di un tempo. È un individuo informato, frammentato, ma più libero nella percezione del proprio ruolo. La non-partecipazione diventa allora una forma di autogoverno morale, un rifiuto della delega, un ritorno all’autonomia interiore.
Il vero crollo non è dell’affluenza, ma dell’illusione
L’errore dei media e della classe politica è interpretare il crollo dell’affluenza come disinteresse. In realtà, è il sistema che non interessa più al popolo. Non si tratta di un’assenza di valori, ma di un eccesso di lucidità.
Il cittadino medio ha compreso che cambiare il colore del governo non modifica la sostanza del potere, e che la promessa del voto come leva del cambiamento è diventata un simulacro.
Ciò che crolla non è la partecipazione, ma la credibilità della rappresentanza. Il voto perde significato quando l’arena politica diventa un palcoscenico in cui gli attori recitano copioni scritti da interessi superiori.
Verso un nuovo paradigma politico
L’affluenza alle urne in Italia al di sotto del 50 % non è la fine della democrazia, ma la fine della sua maschera. È l’inizio di un processo di rigenerazione del pensiero civico, che passa per la consapevolezza, non per il rito.
In questo vuoto apparente può nascere un nuovo tipo di politica: orizzontale, comunitaria, fondata sul valore della cooperazione reale e non sulla retorica della rappresentanza.
La delegittimazione è solo l’inizio di un cammino di emancipazione collettiva.
Non votare, oggi, può essere un atto politico più potente che votare. È il modo in cui il popolo, sottraendosi, ricorda al potere che senza consenso reale non esiste sovranità.
